mercoledì 11 novembre 2009

Diario di un Sabato morto da vivo a 18 anni

Giorno 1

Non ci rendevamo conto di ciò che avvolgeva i nostri corpi, lei era sempre più donna, nel bene e nel male, io sempre più nella rete, catturato dai suoi sguardi, le sue provocazioni. Eravamo in una guerra continua, le armi erano i nostri difetti che si scagliavano prepotenti contro l’altro; le manie di egocentrismo di lei contro il mio orgoglio, il suo orgoglio contro lo zerbino che non volevo diventare. Due folle sole, identiche in una piazza vuota alle 5 del mattino, la dodicesima birra credo, continuiamo a guardarci ancora sobri nella politica, ubriachi ma a distanza, lei con dei ragazzi con la chitarra che chiede jonny b good, la sorella distratta dal suo giocoliere ed io fra le grinfie di logorroici presi dal lavoro, le mascherine che confondono le persone intorno al palo sordo e cieco in riso dei nostri giochi. Devo pisciare, Mario mi segue, andiamo da Nino, mentre piscio Mario sbatte la porta del cesso e mi sfotte, apro la porta e dico di andare a liquidare dentro, ma tolto l’amico ecco lei, nei suoi occhi verdi più scintillanti del solito, deve pisciare anche lei, non ce la fa più ad aspettare ,parliamo e lei ha uno strano tic, è tesa si nota, cerco di colpirla, affondare dove la si può colpire. Mario esce e andiamo via come se nulla fosse, usciamo fuori e tutti come prima, solo un po’ più abbattuto e sconfitto per colpa di qualche scintilla sgarbata che fetecchia nell’oceano sempre più simile alle sue labbra.Ora vado al porto a prendere l’auto solo e sconfitto ripensando ai miei errori quali pesano a ogni passo sempre più grandi, le luci dell’ex mercato ittico e il tanfo di pesce mi fan capire che sono arrivato.
Entro in macchina, non sono affatto lucido, ora passano i Massive Attack ed io apro un mondo sulla strada, non vedo che scintille di vetri sgargianti di incidenti passati, non vedo che sirene balbuzienti in coro tra i miei capelli, non può nascere molto dalla polvere. Rosicchio il furgone in curva, un posto di blocco, mi riscopro cattolico e spero che non tocchi a me. Filo liscio e sicuro di me, il pericolo è scampato, bisogna solo affrontare i millepiedi in fuga fra gli pneumatici e questi sadici ombrelli intenti a colpirmi. Il parcheggio mi fa pensare a te sotto le vesti, la mia precisione, la tua violenza quando ubriaca, le tue indecisioni all’ombelico, i miei Cypress Hill contro i tuoi pianisti jazz, la mia famiglia contro i tuoi gatti e quindi le mie indecisioni. Gli amici in passato m’hanno tradito per le loro ragazze, io invece dubbioso sul semplice provare i miei sentimenti, i miei tormenti, i genitori troppo distanti, cosa racconterò alla luna stasera? Ci sono mille fari da assaporare fuori l’insalata dei concerti, dentro le creme per il viso e i preservativi sigillati con gli scontrini, mille bocce da tirare contro il termos, le coperte rigide, Settembre fuori al mare, la sangria dei supermercati, i long Island del sabato e la Peroni del mercoledì, gli spinelli in luogo con il the, le ragazze a filosofia con la chitarra, le improvvisazioni con cotton, la play station giù dal balcone, gli occhiali al gusto di un freezer. M’incanto a pensar al tuo ritorno fra le mura mai troppo amiche di casa, il babbo e le sigarette, le moto sognate e chissà chi ora nel portone con te a darvi l’addio mille volte senza che mai ve ne andiate. Forse hai trovato lo zerbino giusto o il ragazzo di turno del sabato che ti affloscia se non è disturbato mentalmente come me, i miei amici immaginari, i tuoi amori per i serial killer, le 8 del mattino ogni sera a ridere l’uno dell’altro con odio convinto e doni le tue mani a corpi scarsi e nulli al mio confronto, se imparerò ad amare e tu farai lo stesso non sarà di certo merito del nostro orgoglio.

Nessun commento:

Posta un commento