sabato 26 febbraio 2011

L'Immorale Banalità

Disorientato su questa terra ascolto quel che di più internazionale mi si propina, gocce di dialoghi tradotti, doppiati, integrati marginalmente alla cultura che appartiene alla mia fazione razziale. Scadono i come stai, gli arrivederci dai guai, le folle guidate dalla solitudine, dall'aggregazione, dal prolungamento naturale del sè. Piovono i fischi al passaggio di una donna e un citrullo con la sua voce stridula e squillante dilania un -che sventola!- facendomi vomitare, le mie rotelle si perdono e inseguo il mio senno sulla luna dopo aver girato a lungo gli Stati Uniti dell'Eurasia, eutanasia, aborto, fragole marroni, le siringhe sono geloni dove una signora anziana grida sommessa: Son due giorni che non mi faccio e piango da sempre, aiutatemi a guarire, mio padre mi picchia e non riesco a vivere senza di lui. Un culattone grida in tv, chiunque vuoi che tu sia, isterico e patetico si liscia il pelo che in diagonale si poggia sulle lenti. 5 minuti dopo il Cinegiornale Luce Oscura parla un Ciccione, un tempo cadevano e ridevamo ora parlano e rimpiangiamo il passato. Il cappuccio al mattino non lo voglio più sentire, ne qualunque banalizzante qui pro quo latino, errare humanum est perseverare autem diabolicum. Rammendando Scorre, Marco Mastrandrea perso nel suo alter-ego, in quel prolungamento del sè che non riconosce, però, soffre se non va oltre la solitudine. Approccio con le cose, specialmente le ceneriere del frigo come è pratica comune. Ecco che ritorna. Continua, to be continued, The End, Fine, Fin.

venerdì 11 febbraio 2011

Caro Diario: Tesi d'Aprile

Farò un libro su un pasticciere trotskista. Sarà la mia opera migliore, grazie Nanni, il tuo diario generazionale lo colgo in eredità, tu deluso non dai politici ma dagli uomini che questi erano ed io invece dal nulla, non ho un partito, ho un uomo e null'altro da votare, io ho gli anni zero. Risaltasti i giornalisti incoerenti, qui va risaltato l'uomo decente, quello coerente, è il raro che mostra la regola. Mi deprime vedere gli intellettuali che lavorano con strategiche comunicazioni in favore di un padrone-aziendalista-caporedattore. Io giornalista, io pubblicitario, io politico, sono un'azienda, tutti sotto il mio ordine, tutti con un marchio e nome e cognome. Tutti i partiti, eccetto uno, hanno il nome del candidato sul simbolo, anche se non vi è alcuna elezione imminente. Come può una persona rappresentare e governare un popolo, io voterò una lista dove oltre chi la guida non posso decidere null'altro, concentro i poteri in mano ad una sola persona, vuol dire che voglio una dittatura. Nanni qui nessuno vota più e chi vota è meglio se non lo fa, i sociologi dicono che il voto di fatto non serve a nulla e che il non voto ancora meno. Nanni qui stiamo male c'è bisogno di un musical, e sappi che qui ad Aprile non nascerà nessuno che si chiami Pietro o Mattia, Romano o Nichi. Al massimo qui ad Aprile morirà qualcuno ma non è colui che tu speri.

sabato 5 febbraio 2011

Lacrime marmoree

Col fiatone per le scale dedico poche righe allo zerbino appena stuprato e al tempo zampillante. Nata da giovane, la lancetta perforò l'uomo attraverso campanili e poi big ben vari, i padroni delle fabbriche corsero immediatamente a procurarsene uno nel taschino, i turni erano bugiardi, i lavoratori faticavano mentre i padroni ingannavano il tempo. La felicità dell'auto è mirabolosa, non mi crederai mai ma gli alberi sfrecciavano come mai e i giri del motore diminuivano solo davanti alle corte gonne. Poi tutto d'un tratto il proiettile si placò, vidi le sue guance e il cuore si impennò in altri modi, puri, casti, come nell'infanzia delle risse, delle gocce al bar e i lidi estivi. Sembravamo tutti dei brigatisti con baffi e ricci mentre le statue fisse, marmoree, trasudavano ai bordi, trascinavano il peso della falsità storica, della fatica inesistente, soffrivano per il peso di una fatica mai fatta. Il non fare nulla mai fu così atroce, mai si pagò al punto di piangere per un merito involuto. Erano lacrime. Basta poco, non serve niente.

martedì 1 febbraio 2011

Siero Autunnale

Ci scrutiamo nel buio in cerca di facce amiche, chi vive all'oscuro della luce non ha nulla da nascondere ma di sicuro non vuole mostrare nulla. Ciò che scrivo i miei occhi non lo leggono, questi però si abituano al nero pece e immaginano sagome innamorate, coglie cavi fra le mani pronti ad affogare mentre li bacia. La luna frantumata crolla in uno schianto ecumenico, fa sprazzi di luce sul sentiero, mostra desideri senza spine in parti intime del siero autunnale. L'intelletto m'impone di procedere a capo chino, l'ambiente è spumoso e al contempo decolorato, le secche si lasciano inondare da travolgenti passioni, nel campeggio fanno corteo, fra fiaccole e compiacimenti indefiniti. I flussi di coscienza migrano in altri calamai, belli come non mai, sbarbati e trini. L'ossesso spettrale che si ripete in me è la voce del mio partigiano custode, timoroso di essere dal lato giusto ma nel settore errato. Ho timore di essere un illuso, mi rendo conto che è una certezza, l'illusione e il fatto di esserlo. Con una pentola e le bacchette sveglio le tende iraniane accampate, mastico arbusti e gli aghi di pino si fanno filo interdentale. L'organico si ricicla da sè. Mi ripeto con voce scodinzolante che demolirò le radici e asfalterò i tappeti per darti il benvenuto, con una tessera o con una cena. Se non sono esploso vuol dire che domani mi sposo.