giovedì 31 ottobre 2013

Compagno di sbronze

Veniva da lontano. Almeno per tutti. Forse, lui, fra noi si sentiva di un altro paese. Forse non lo era. Ma era potenzialmente di qualunque luogo. Aveva mille posti cuciti sul corpo. Una sola patria. Non poteva dimenticarla, sentiva il bisogno di ribadirlo sempre. Il suo lembo di terra, così piccolo e così povero da abbandonarlo. Ma un giorno tornerà, ripete alla fine di ogni discorso. Mi diceva che un tempo è stata ricca e valorosa. Che i suoi antenati hanno salvato i miei. Che noi non lo possiamo sapere perché i libri di storia hanno ben altri impegni che spendere pagine e pagine, lezioni e bimbi sonnecchianti da svegliare.

La sua bandiera ha una storia di lotte. Vorrei dire lo stesso, ma non ha importanza, forse non corrisponde al vero. In fondo, preferisco ascoltare i suoi occhi luccicanti. Un tempo non è stata ricca la sua terra però non dimenticava mai di dire che era stata di tutti. Anche con poca legna e tanto freddo. E che si amavano nella miseria. Che nessuno era solo o senza lavoro. Che tutti andavano a scuola. Che il suo papà lo scrive sui libri e il suo nonno, fedele al baffo sovrano, scriveva poesie e zappava la terra. Come mio nonno, che, però, non sapeva nemmeno leggere. Mio nonno sapeva fischiare. 

Quando beviamo, io e lui, quello che veniva da lontano, siamo così diversi da parlare per ore. Da condividere l'esistente. Da bere per ore. Dice che da lui si beve molto. E che bevo come i suoi avi. Il rito dei figli delle mani sporche si incontra. Mi ripete che un giorno andremo insieme nella sua terra. E io, ripeto diretto, che sarà a tavola col sangue mio. Presto sarà alba amico mio. Ti aspetta un viaggio lungo e pericoloso. Quando tornerai avrai tanto da raccontarmi, avremo le mani sporche dalla terra del bicchiere, come al solito in un vicolo metropolitano.


Fuori capitolo: la felicità, in fondo è realizzazione: vedere la realizzazione materiale di quanto immaginato. In fondo, la bellezza non la trovi, la cerchi..

giovedì 3 ottobre 2013

Cronaca di una rissa non scritta



Anche stasera c’è stata una rissa. Ancora una volta. Ancora una volta non è la tua. Per dirla giusta: non è quella che vorresti. Stai lì, in silenzio a chiedere ancora una volta qualcosa, magari un semplice filtro. Rolli il tabacco distratto, pensi, ti domandi. Una volta acceso fai luce, il silenzio artificiale che hai appena costruito nella mente. Le strette boccate di fumo ingialliscono rapido il filtro, pochi tiri e nervoso spegni quanto già mozzicone. La cronaca è questa, oramai sei abituato, allenato. Istinti, impulsi da una parte; la mente da tenere lucida è fondamentale. Ci vuole equilibrio, non te lo ripeti più, è dentro e fuori di te. Pensi ancora un po’ fuori dalla notizia, la perdi per un’istante e cerchi il motivo per cui fumi. Chissà se fumi per vizio o per scaldarti. La lingua, di certo, è sempre calda, pronta a chiedere informazioni biografiche, a raccogliere resoconti dell’accaduto, a edificare narrazioni in pieno dramma meridionale.

Mentre provi a ricostruire la dinamica dei fatti nella mente, col taccuino nervoso che aspetta la fuoriuscita di quanto alla svelta hai appiccicato in mente, arriva una pattuglia della polizia. Qualcuno si chiede perché non sono arrivati i carabinieri, d'altronde, il luogo del fatto è dietro l’angolo rispetto alla caserma. Poi una dietro l’altra lo strillo di “a tutte le unità” porta con sé ben sei pattuglie dei carabinieri.

La prima auto si ferma: uno Striscia Rossa con lo sguardo dal finestrino appena abbassato controlla se in terra c’è la presenza di sangue. Il secondo carabiniere apre lo sportello dell’auto e fa leva con le braccia rigide sul tettuccio per stare su.

L’uomo, uomo di sistema, uomo di mondo, uomo che ne vede di tutti colori, chiede quale colore di pelle avessero i rissosi, di che razza si tratta. Qualcuno gli risponde dei bastardi, qualcuno dei pit bull, qualcuno scherza e dice un carabiniere.

La rissa, non fa notizia, o meglio, non fa notizia per il quartiere, nulla di nuovo, nulla di forte. Nulla a che vedere con la piazzetta. In piazzetta nessuno chiede informazioni sulla razza, lì, la razza è una sola. E comanda.

Non puoi scriverci un pezzo ti ripeti nervoso, sarebbe cronaca, sarebbe noiosa, sarebbe il solito. Non puoi romanzarla e non puoi raccontarla. O forse sì.