domenica 23 marzo 2014

Dal lato del padrone


La volta che ha fallito aveva gli occhi del padre. Imbottigliato nel traffico umano poteva liberarsi solo con la rendita e qualche piccolo servizio. Banana, cacao, pomodori e trecento ettari. Aveva un patrimonio pubblico per scappare senza biglietto. Non voleva muoversi, né faticare. Voleva solo rimuovere la ricchezza e distribuirla fra le sue tasche. Tutto questo soltanto dopo averci provato posando i suoi sogni su sentieri mai solcati. Da giovane diceva di guardare al passato per prendere la rincorsa. A volte non è sufficiente. Il fango ti tira giù e gli pneumatici si scorticano. Mollò il villaggio, abbandonò il suo continente.

I vaccini e le armi. La droga e le bimbe. La rendita perfetta. Gli sfizi. 

Abbandonare non significa andare via, per farlo basta sradicare il corpo dalla terra, dimenticare di essere albero e diventare uomo occidentale privo di radici. I soldi fra le mani sono del colore che vuole, basta girarle dal lato del padrone.

martedì 11 marzo 2014

Fiaba civile per un amico


In tarda età ci innamorammo del lavoro. I baroni erano molto preoccupati per la cosa ma della nostra brama amorosa seppero approfittare facendoci dimenticare la dignità regale del lavoro. Quando ci licenziarono, i baroni trassero un sospiro di sollievo, ma per poco: perché pur di lavorare non ci bastò essere licenziati.

Lanciammo l’anello nel lago. Dopo averlo indossato per colmare vuoti. L’oggetto circolare inafferrabile lungo il quale abbiamo percorso una parte della nostra vita ora è lì fra le onde verdi senza schiuma ad ossidarsi col tempo. Schiavi immersi in fuliggine e lapilli diranno che siamo immobili, pietra di lava. Il tempo è sfuggito in posa per una foto, statue perfette in una ripresa di immagini statiche ripetute durante le quali abbiamo visto fiorire barbe, ingrassare i nostri corpi, perdere i nostri cari. Le esperienze di vita da presentare ai baroni, riga dopo riga, diventarono libri, mattoni da portare con l’anello sotto la lingua al prossimo barone per una serenità a tempo determinato.

Lanciammo l’anello nel lago ma non ci innamorammo delle sue rive. Ci allontanammo verso lidi dal cielo grigio che come un coperchio ci proteggeva mentre ci schiacciava. Sulle rive di una birra e una lingua nuova, priva di anelli, tutta da addomesticare.

sabato 1 marzo 2014

Vediamoci più spesso


Paura di una sconosciuta come tua madre. L’inizio è ruvido, poi quando il ghiaccio si scioglie, la fiamma è blu. Balbettante tastiera. Ipnosi di verso fraterno, raccogli tua melma. Una scia lungo il cammino, liquido terrestre. Procedi forzato, lungo l’arco a forma di unghia che rilascia polvere di stelle e frammenti di forno galattico. Sali fino al tetto dell’universo, cosmetico del cielo ridi ancora pagliaccio. Di ghiaccio si scioglie, la fiamma è blu. Dilatato l’occhio che soffre quando s’offre da bere. Balbuziente la bocca. Le corde  procedono spedite ma lei s’apre e saprà chiudersi. Ma poi dirimpetto si sfa. Allargasi fino alla gengiva scostumata. 

E’ da tanto che non ci vediamo. Come stai con tuo marito come il tuo cane con te. Paura di conoscermi saltami fieno. Forse vorrei dirti che arrivo quando è tardi. Perché ho paura di arrivare in anticipo. Forse era un'ipnosi. Ma le parole si ripetono. Come il graffiare tuo dolce. Carezzami ancora prima che sia sera. Sai di giorno fa caldo con lo smog. E di notte con la polvere di stelle mancano i raggi calore. Con lo smog così fa freddo. Lasciami solo. Solo laddove è possibile studiare. Bocciato senza il frigo rumoroso, l’aspide semiattivo, la cura della spesa, questa lista eterna. Come noi. Come le candele, le batterie, il benessere, le tue gocce finite. Come stai bene quando le prendi. Vediamoci più spesso.