sabato 31 maggio 2014

Le sbarre del lago industriale


     Che poi in uno stanzino non si sta così male. Siamo io e te, chissà quante storie avremo da raccontare. Che poi se chiudi gli occhi puoi andare ovunque, dimenticare le storie che non ti va di raccontare. Che poi se diventiamo scemi non succede niente di male, l’unico problema è che non possiamo fare ironia. Che poi alla musica reagiamo tutti uguale, nessuno è immune, non la puoi ignorare.

     Siamo permeabili alle vibrazioni, come ai piccoli gesti, ai rumori. Senza rumori, dicevi che dicevi sempre al centro occupato una volta, tanti anni fa, dal tuo papà, dicevi che senza rumori la musica non si può fare. Dammi un altro po’ di vino dicevo sempre, poi ti lasciavo il bicchiere e riscuotevi la cauzione alla cassa. Magari ci fosse la cauzione pure qui. E pure una cassa.

Ma torniamo a noi.

     Devi sapere che dietro questo rudere, che una volta era un’industria, c’è il mare. E’ roba artificiale, come quella che ha fregato mio figlio, comunque, dicevo che non è che qualcuno voleva fare il mare profondo, si trattava di un palazzinaro che aveva fame, voleva farci un centro commerciale, prese la ruspa e di suo pugno inizio a scassare tutto, pure le falde acquifere.

     Ora c’è un lago in mezzo a questa metropoli, sento l’odore pure da qua.
Sta roba poi non è che te la racconto perché me la sono inventata, ho una fonte chiara e affidabile, me l’ha detto una mocciosa, mi ha parlato pure dell’assessore e dei ragazzi che si danno da fare, che poi c’è sua madre ma non ti dico niente di lei. 

Che poi tu sei giovane non è che ci credi a quello che dico, ma un giorno capirai.

     
     Ora ti racconto questa storia, e stammi a sentire, tanto stasera piove, senza che cerchi le scie alcoliche di tuo figlio, lui con l’ago non fila nulla, va di scarto; senza che cerchi, dietro queste sbarre per evadere puoi fare due cose: o chiudi gli occhi e inizi a sognare oppure stai zitto, muto e continui ad ascoltare la storia che ti sto per raccontare.

lunedì 19 maggio 2014

Lieti saluti


Senza viverci mai. Ci ritroveremo ancora disfatti sulla pietra di una panca chilometrica con il respiro affannato dopo ore in attesa del sole. Il mare ci ritroverà apparecchiati sui letti bruciacchiati dai mozziconi invadenti e gli occhi invisibili tra le parti nascoste rintracciate tra le caviglie e il petto. 

Faremo ancora viaggi di seta navigando sulla tua pelle tenera. Abbandoneremo per una volta le cene confetto e i diplomatici. Tra lieti saluti, vecchi fuggiremo via su di una casetta di legno incastrata tra i rami secolari di un timido centro sociale. 

Senza singhiozzi da centro commerciale avremo il battito incrociato, lontano dalle paure della miniera con i nostri nonni nero carbone; dalla paura degli sguardi nervosi, come quelle notti quando la pelle si induriva con gli schiaffi della maturità. 

Contenti di accettare i calci, avremmo preferito digiunare il consumo del pane quotidiano, dell’avere, del dovere avere, del dover avere le carte, del sopraffare, del sopraffare sorelle, madri, fratelli e padri. 

Avremmo preso calci nello stomaco sorridendo, pronti a issarci come bandiere in sacrificio della futura umanità. Tutto per ciccare con le dita; per navigarci teneri tra una discoteca con i bagni meravigliosi e un cimitero monumentale. 

Lo avremmo raccontato ai nostri figli sconosciuti come il lavoro a tempo indeterminato. 

Quando si è fatta alba, stropicceremo gli occhi ancora svegli, senza tremolii per il freddo che schiarisce il cielo tra la notte e il giorno, e guarderemo i vecchi danzare a passo militare su di una vecchia signora del mare. Lungo questa percorreremo le convivenze, i matrimoni, i divorzi legali e i nuovi matrimoni clandestini. Nascosti da tutti, alla luce del giorno mite e affettuosa. Senza viverci mai.

giovedì 8 maggio 2014

Occhio di stazza

Negli anni che la nostra salernitana città sotto l’impero del glorioso pontefice Martino quinto si reggeva, in essa di grandissimi traffici si facevano, e mercanzie infinite di continuo e di ogni narrazione vi concorrevano; ci ritrovammo coi pollici girati su di una panchina.

Vicino al chiosco a bere per compagnia, avremmo dovuto come gabbiani inseguire città sporche per avere bianchi sorrisi. Gli orpelli via, insieme all’anima del passato, ai cervelli maciullati, al cristo sconvolto col pane nelle mani del ricco avvocato dal naso bianco entusiasta della valigetta antica per cui ha speso i soldi del povero piattino domenicale.

Lì, fissi e immobili per sempre, tra dogane del porto turistico e del porto commerciale, scontavamo notti silenziose con le gru con le lucette rosse semaforo. Era una bella serata dicevano prima che ci isolassimo nella musica dell’errore, nell’avversativo lungo una generazione e breve come le nostre vite. Nel naso piccolo e con rughe nevrotiche fra qualche lentiggine ciliegia.

Spaesati e provinciali contavamo le navi entranti al porto, con una piccola barchetta sudamericana che scortava le città internazionali lussuriose e i traghetti della speranza. C’era la morte da esorcizzare, da tirare fino all’alba, con i compagni d’occasione necessari. Hai visto quant’è bella la città di notte, tiriamola a lungo finché possibile.

Ascolto Masuccio e canto di Porta Portese con te ma a letto mi aspetta la morte, giochiamo ancora un po’, freghiamoli tutti con il sorriso, nient’altro che denti. Prendiamo un caffè con sambuca per dormire. Ho bisogno di confidenza con la bara, ancora lì, difficile da issare, con l’occhio di stazza riposante, ignaro risucchia i comodi sogni a basso costo.

Dormirò poco senza te e le larve che a occhi chiusi entrano nel tuo corpo, che ti divorano mentre decifro il sogno sudato. Chiudiamo questa finestra dell’inconscio, apriamo gli occhi e troviamoci un lavoro.

Non ditelo all’anarchico ariete che rubava per mantenersi in forma. Non dire “ma”, privami d’aria, non lasciarmi avversativi, lasciami dormire nell’incubo, ancora un po’ prima che finisca questo gioco morboso e inevitabile in cui siamo sommersi. Che piacere farlo con te. Che piacere restare immobili mentre maledici chi ti dice addio.


Sorridi dal paese lassù perché qui in città si ride fino ad impazzire.


Post narrato: "E' tu sempre amerai, uomo libero, il mare! In lui ti specchi intero: nei giuochi sempre nuovi delle sue Onde  innumeri i moti tuoi ritrovi, e nei suoi aeri vortici le tue latebre amare "