giovedì 22 dicembre 2011

Eterotopia

Gli ideali realizzati, si moltiplicano alla sera quando stanco scopro le vesti e mostro il vero volto allo specchio. Non sono reale, ma lo sono, sono me stesso ma al contempo no. Anche le piante alle mie spalle ci sono/non ci sono. Mi chiedo da quand'è che vivo così, miserabile e fortunato, antipatico e simpatico. La barba? no, oggi no. Magari quando penso al possesso o quando penso al suicidio. Cosa mi domando realmente? Mi chiedo come stai: come stai?
Fogli stracciati si alzano dal bagno, un luogo comune, quanto intimo. Il cimitero? lo stesso
Insomma chi c'è in quella barca che affoga se non il mio sorriso, il mio riflesso e quindi me stesso? 
Ho cominciato a fumare le sigarette per appannare il riflesso e quindi me stesso.
E' tempo di stuprare questo mare inconscio e fraudolento, questo tempo rapido e infruttuoso lo voglio lento, dove gli spigoli fanno meno male. Voglio il tempo scandito con un metronomo da me costruito, voglio l'umanità che lenta scorre fra le mie vene, voglio che la televisione sia un luogo reale dove potersi confrontare, la radio un luogo in cui cantare 100 000 canzoni nuove d'amore.


Alla fine del concerto la star vomitò il sangue raggelato a lungo nella schiena, il fegato lo restituì anticipatamente al diavolo, per cui nutriva un certa simpatia. Oggi canta alitando, soffiando nel microfono, amico di ieri e nemico di oggi. La ragazzina glielo succhiò fino a che il bagno non si fosse totalmente insudiciato, lo curava senza curarsi, voleva una sigaretta, nessuno, non c'era nessuno se non il panico. La casa discografica, i debiti e gli anni 80 lo rinchiusero nei centri sociali, la sua cella era la sua vecchia casa ora più giovane di lui. Finì in prigione, mai fu guardingo, neppure lì, in quello specchio in cui miro se stesso e forse no.  

martedì 20 dicembre 2011

Sonno Antico

Dormo in silenzio in un sonno antico

A parlare fra attentati e bombe, fra giornali e miserie, c'era solo il verde dei nostri dialoghi, con i loro toni intensi e limati nei versi, in rima, spontanee sillabe fresche, zingare sibille giravamo carta dopo carta i dubbi.

Dalla finestra cadevano monti e lucciole, non uomini, non anarchici. Una ballata di Lolli ci accompagnava nell'immensa pianura fin dove tutto si perde, nella collina di New York giurammo in silenzio dai tombini alle punte dei grattacieli. La televisione non ascoltammo, la rivoluzione passò per radio ma preferimmo ascoltare Ferrè, a Milano ci baciammo ma era solo sonno, sonno in un sogno.

Non stanchi, sognammo di dormire e qualcuno ci cullò con strofe sconce di taverna a ninna nanna. Ci chiamavamo Gesù e Mosè, eravamo innocenti, ci lamentavamo senza ascoltarli. Ci svegliammo, si fa per dire, un giorno in una miniera di palude e fango, di pietre aguzze che grattavano la schiena e capimmo che tutto scorreva e noi non avevamo capito nulla, erano passati anni senza respirare, pensammo al sogno come ciò che era più vicino alla morte e quindi alla salvezza, alla beatitudine. Dormivamo solamente, ora invece sono sveglio ed è tutto più grigio, assopito ancora ma in modo diverso.

Il cielo sempre più nero sembra vero, mi basta esser sincero, magari anche un po' squallido, nostalgico, un po' morto ma sincero. Ora sono qui aspettando l'ultimo dei luigi d'oro di Aragon per poter mangiare, vivo in miseria, leggo i giornali che parlano di attentati e bombe, niente zingare dagli occhi lucenti stregoni, non verde in pianura. Solo collina, una grigia e periferica, che mi tiene sveglio, che in salvo protegge e allontana quanto è stato.

lunedì 5 dicembre 2011

Manifesto Assistito

Se son vivo, almeno per un po', è merito degli amici. Se ha vissuto, ancora un po', è stato merito degli amici. Lucio hai visto la Svizzera più e più volte, Magri sei resuscitato per gli amici e un po' come Cristo per mancanza di coraggio. Blasfemo è chi muore una volta sola, o quantomeno non pensa mai di voler morire. Ipocrita è chi dice di voler vivere a pieno regime gioie e dolori, sempre, senza alcun dubbio mai. Bastardo è chi attacca colui che decide di far ciò che vuole della propria vita, forse nessuno è proprietario di se stesso ma di sicuro siamo tutti noi stessi, giudicatelo, ma per quanto ha fatto non per la fine che ha deciso di fare. I grandi uomini decidono cosa fare di sé...i piccoli lo lasciano ai grandi Dii. Fortuna che lui ha un medico amico, e chi non ha amici?

martedì 29 novembre 2011

Rima bipolare


La Danza con lo Scheletro, amico fluorescente con l'occhio di vetro, il malleolo in bella vista e il l'anca da apripista. Simpatico e arzillo fa palestra tutti i dì, si ubriaca il martedì e i massaggi dolci se c'è Xie Li. Come una marionetta si agita e sgambetta, qualche scappelletta e via con la risata del pubblico della serata. Filastrocche vili e sconce racconta a sua moglie, lei è irritata e la testa si è fasciata. Non se ne può più grida l'uomo coi muscoli, cado a testa in giù e nulla mi succede non si rompe neanche il piede. Sono un ammasso in sconquasso che cado da un palazzo ma resto senza un graffio. Piango e mi deludo, non muoio senza scudo, resto qui né cotto né crudo, i vestiti non m'entrano e indovina un po'...resto nudo!

domenica 27 novembre 2011

Insofferenza: principio di rinascita


La barra sincopata m'accompagna lungo la strada, un po' di brina sul selciato, qualche puttana, zitto proseguo. Zitto e sommerso nelle sue parole, m'addentro nel passato e lo rivivo con nuovi occhi, lo rivivo e fra una battuta e un'altra c'è sempre un gesto, inutile e banale che distrae il pubblico. I like it grida il mondo oggi, nulla di più. Perdo la parola e lei prosegue il discorso, perdo conoscenza quando lei mi prende il polso. Riesco a malapena a respirare quando lei mi bacia, spero di morire durante l'orario di lavoro. Sono in treno, nella stanza ci sono nevrotiche coppie partenopee, dal dialogo incessante e inutile; spettegolano, lei con enfasi e lui con distrazione, i fratelli (di lei) hanno fatto un discorso di eredità (a lui) senza nemmeno parlarne (con lei). Un uomo a telefono organizza i turni in radio, si vanta con gli amici e fa chiacchiere disinvolte sulla sua amante, il seno? abbondante! Il ragazzo torna al paese dalla sua ragazza, ci provano, vogliono stare insieme fin quando non avranno una vita sociale nella realtà naturale soddisfacente. Il mio ruolo? il ragazzo intellettuale di sinistra che non lo è, ma è inutile convincerli, sono apparenze. Leggo il giornale, poi Kafka e ascolto De Andrè. L'apparenza è banale se la si distingue. La vita è reale se non la si afferra. L'anima non perde mai la dignità, neanche con l'amore, è tempo di risurrezione.

sabato 12 novembre 2011

Post privato

Vivo, in affanno, mi prolungo per un po' cercando vette da sbiancare. Io non ho mai amato e tu non sei mai stata viva con me. E' tempo di amici e fratelli, di nostalgia e ricordi, di volti andati e perduti, assaporati  per poco e a volte per troppo. Si sostituisce la gente, muta, esplora e cresce. Vancouver grida l'amica dall'auto ridendo, mi racconta del tempo e di come è lento se vuoi. Volontà, volontà una sola parola ripetuta sbatte come i libri in testa eppure non ci si accultura così. Volontà qualcosa da imporre come hai fatto per tutta la vita. Devo volere, così pare familiare, rallento e penso, ha ragione l'amica mia e hanno ragione i giudizi, se non sono corretti poco importa, esistono e un motivo ci sarà. Non mi dite che c'è il bene e il male, sto facendo dei conti, sapete com'è sono ingegnere. Rido forte, lo faccio di rado e di gusto mentre gli altri ridono ancora meno. 
Scrivo il temino:
Voglia di conoscere gli ingranaggi della macchina e non di spingerla al doppio delle sue capacità. Voglia di vivere a lungo, di conoscere la muta del serpente, di assaporare le gocce una per volta. Voglia di treno, per 11 ore e poi altre 11. Voglia di amici, conoscenti e sconosciuti. Voglia di nuovo, non di un posto certo e infinito, non di nipotini e pensione ma di nuovo. Voglia di ripartire, da zero, anzi da tre come disse un'amica carissima, uscita da un fumetto al filosofo. Grazie coincidenze e proseguiamo oltre senza il soffio vitale esterno, ora la matrice è interna. Lo giuro, ovviamente a me stesso.

sabato 5 novembre 2011

La sedia e il cavalcavia

La spia della tua cam è accesa, ti guardo, ti spio e mi infiltro nelle tue mura domestiche. Derubo la tua intimità, preservata a tutti anche a te stesso, forse troppo spesso. Ti scruto ridendo, ridicolizzandoti, sei una parodia del tuo ego, guardati. Ero lì quando hai gettato la sedia a rotelle di tua moglie giù dal cavalcavia e quando hai ucciso i tuoi figli. Forse questo non è successo, forse ho esagerato, ma è così che ti senti, così ti voglio far sentire. La tua sofferenza è la mia gioia, il tuo culto è il mio clown, la tua donna è la mia troia. Non ci sono mezzi termini per descrivere la tua vita, non ci sono svolte o volte buone, una piatta discesa, un encefalogramma mutilato in una terza dimensione. La luna ti ruba una lacrima e credi di provare un'emozione, ma che vuoi che sia quello sputo nel cielo. Cade una apple dalla window e ti credi Newton o Gates o Jobs. Sono il furto del tuo linguaggio, la tua lingua si allunga e assapora poche gocce, credi di esserti dissetato. Nessuno ti comprende perché sei scarso, non speciale, non ti impegni nel sociale e ti credi timido, disadattato. Non sei nulla, il bene e il male per te sono concetti insensibili. La spia della tua cam è accesa ma nessuno ti guarda, nemmeno io, ti senti solo e spaventato perché sei pavido, pavido, pavido.

sabato 24 settembre 2011

Pregiudizi con virgola

Basta un singhiozzo per impazzire, una cosa avuta e dopo tolta. Il cestino dei rifiuti mi scruta ridendo, sembra tirare a sé troppi giovani, è frocio. Lui ha guardato una bambina, pedofilo. Lei ha voglia di mordere delle natiche, troia. Ha progettato una torre di cento metri, ce l'ha piccolo. Prosegui tu, in fondo si ha sonno solo se si è svegli. Basta dell'acqua e il singhiozzo vola via, come un tormento ricevuto e finalmente purgato. Il cestino dei rifiuti piange, sembra che le carte si posano ai suoi piedi. Lui ha guardato una bambina, è il padre. Lei ha voglia di mordere delle natiche, ha fame. Ha progettato una torre di cento metri, gli mancava la sua amata ora in cielo.

domenica 18 settembre 2011

Fra poeti e aedi

Sto male e prego la madonna, perché lei, ogni torto disgrava e sotto la veste il pizzo detiene. Sono peccatore disceso nel limbo e relegato fra poeti e aedi, li ho truffati tutti e mi son fatto salvo. Senza fede in colui che nel legno venne ficcato riarsi il mio corpo vendendo la beatitudine contraffatta. Non mi interessa essere nelle grazie di chi tutto può, voglio il mio corpo è il solo oggetto che mi fa sentire, vivo o morto non importa. Ho il baffo informato, minaccio e ricatto con acume mi divincolo dai capi con l'aureola è solo questione di tempo, presto sarò pronto per lo scontro. Il ribelle compiva tutto alla luce, Lucifers, io all'oscuro vincerò. Seguo il ritmo cadenzato e mi spaccio per maresciallo, calabrese fui e sotto la coppola che lo noti. Napoletane son le mie mani, milanesi le mie ricchezze e mai genovesi furono le mie tasche. Ora ho una camicia in trama scozzese, grigio e blu il suo colore, un cancro ai polmoni sponzorizzato dalla Marlboro, sudo all'inferno e sappi che per me è un piacere etterno

sabato 3 settembre 2011

Un paese di merda

Uno sfrattato guarda il cielo cercando un luogo dove piazzarsi, qui in terra non c'è più posto per lui. Erri De Luca al mattino dall'alto del mondo mira due città la prima fu morte per Cristo mentre la seconda fu dimora per santi e puttane. Qui non ci sono prospettive né paesaggi da contemplare, da un lato vi è un morto accasciato che potrebbe essere il Cristo della nostra epoca, dall'altro dei sanpietrini gettati contro le camionette delle guardie. Il monte su cui mi trovo è un cumulo di falsità, di menzogne e futilità, mi regge oggi, domani forse e dopodomani pure, abbandonate i miti della giustizia in terra, sopravvivere si può. Chi chiede di più? chi prospetta per sé un futuro migliore? E' tempo di essere schietti, rapidi e dinamici senza sudare troppo però; è tempo di stritolare gli stracci e succhiare per sciacquarsi la bocca, c'è chi invece preferisce rubare una dentiera e vendersi i denti, chi preferisce vendere il fumo e crescere una famiglia, chi scopa per allattare il figlio. E' un inferno medio, un paradiso al contrario. Lungo il corso vedo camice, camici e camice di forza, nessun papillon se non quello di un mimo, la persona più seria che ho visto oggi, suona anche la chitarra e si traveste da uomo fa vivere sua moglie e il piccolo figlio mulatto. E' una vita a mezzo servizio, sul fondo di un bicchiere a rubare le gocce degli altri, qualcuno ha il bicchiere pieno, è in una scatola intrappolato e con saggezza ripete che per lui è un paese di merda.

domenica 28 agosto 2011

Asso di un mazzo incompleto

Buonanotte giorno, le ombre degli uccelli che ridono su una croce dichiarano l'uragano che i trecentosettanta mila non vedranno. Oggi sono in Finlandia, un vecchio zio ignoto mi ruba l'accendino, ha avuto tanti cancri quanti guai e ancora lì con le sue marlboro impastate di calcestruzzo e nulla lo scalfisce, neppure la moglie anzi ex. Mi lascia a disagio, distratto anzi di sasso lei è immatura, giudico, scrivere ha questo piacere perverso, parlo di lei, il nemico numero uno. Il mio nemico lascia la luce accesa, guarda la tv al massimo volume, si sveglia di pomeriggio e inguacchia il mondo con le dita oliate. Il mio nemico salta la fila, è simpatico, gusta l'effimero e replica le battute altrui. Si scatena un isolotto di grattacieli, si inverte ileicattarg, a rallentatore g r a t t a c i e l i, a stagioni alterne o forse asfaltate come i divani asfittici. Oggi dormo poche ore, poi vado alla mediateca, chi muore mi troverà lì, come un asso di un mazzo incompleto

giovedì 25 agosto 2011

Solo chi può diventa pazzo

Quando scrivo è perché ho voglia di leggere, una considerazione priva di sentimento, venale, coercitiva. Sondo gli umori che si alternano nella mente, a volte mi perdo, altre rido e non penso. Penso troppo, di ogni conoscenza che apprendo la mia mente si estende, la parte cosciente diventa pragmatica, strutturale, suddivide e ordina il mondo su due basi solide quali forma e contenuto, faccio delle buone sintesi. L'altra parte, quella inconscia, rielabora queste conoscenze e struttura un mondo deformato, la mia donna è un assassino, mia madre è un fantasma e il mondo mi deride, nulla è vero e tutto è falso, sono Truman ti assicuro lo spettacolo è la mia mente. Talvolta mi ritrovo al centro fra le due parti pensanti del mio cervello dove quella conscia si dice convinta della realtà intorno mentre quella inconscia deruba ogni certezza e struttura in egual modo un mondo alla rovescia dove io, lento da sempre, capisco l'inganno universale. A cosa credere non so, la parte inconscia è più rapida meno ovvia e più affascinante, quella conscia è evidente e ovvia al punto tale da essere confutata.

La sua paura più grande qual è? - chiese un giornalista in cerca di uno scoop-
 E' quella di accorgermi delle cose, di diventare pazzo, di essere così tanto alla ricerca del vero che non credo più a nulla, neppure alle mie mani. La paura più grande è nel piccolo quotidiano che, così piccolo, si ritrova a elaborare un mondo attorno al semplice rendendolo complesso. Solo chi può diventa pazzo.

domenica 21 agosto 2011

120 km/h

Corro, con l'auto o qualunque veicolo, perché altrimenti sogno, perché se sogno sono ingordo, divento pazzo e poi  tu mi leggi. Sono ligio a tutto fuorché a me stesso, vengo sull'auto in corsa, mi arrapa correre, specie se ubriaco, un giorno sarò sulla cronaca locale, chiunque tu sia mi raccomando un lead che non superi le 40 parole. Ho una prostata malmessa però continua a succhiarmelo altrimenti esplodo. Scrollo perchè altrimenti non è giorno, penso a lui ancora pazzo di lei, sei ridicolo; penso a lui ancora depresso perché vuole fare ma non ha il materiale: Giovani Cicale imparate a Risparmiare. Una teppista qualunquista, forse grillina, la pesto. Un teppista comunista, forse per davvero, non mi conquista. Ho bisogno che tu beva altrimenti non sono attraente, ho bisogno di esser nudo altrimenti non posso scoprirmi. Ho bisogno di un'amica, forse di una sbronza, ho bisogno di un amore, forse che si sbronza, e che non sia sempre tardi per pagare. Ho bisogno che tu sia lucida quando siamo folli, ho bisogno che la depressione non sia l'unico punto comune. Faremo un partito amore a stelle e strisce, con chi sogna e chi si sbronza, con chi ride e chi deride. Io voto Cioffi, un voto inutile, così che rido, così che vivo.

venerdì 19 agosto 2011

Salerno 1984

Le teste piatte sui muri si leggono ad occhi chiusi, come se un uomo avesse segreti al cospetto della sua amata. Tergiversare i controlli è inutile, videocamere di sicurezza, sensori di movimento, laser traballanti e una piazza larga come il mondo sul mare: Qui Non si può Scappare. C'è un uomo come statua che pedina con lo sguardo ogni individuo, il pensiero di poter essere sottocchio lo blocca, dalle carceri all'ora d'aria, Jeremy il Buono lo sapeva, ti svuotano le tasche con l'unico vizio concesso, qualche grammo di alcolusso. Prima c'era una piazza sviluppatasi negli anni come epicentro sociale, questa aveva mille vicoli, luci soffuse ed era frequentata da tutti, oggi invece viene compressa da militari, bottiglie di ghiaccio cascanti, dagli elicotteri comunali, la protezione civile ci scarica i rifiuti e il deflusso è realizzato. Oggi nella larga piazza fa caldo, ci buttiamo a mare e navighiamo con i topi, ho sempre avuto paura dei topi, alcuni sono morti ma cambia poco. Qualche squadriglia di schiavi ha provato a pulire ma poiché dovevano pagare per lavorare ci hanno rinunciato. Non ci sono fondi, la piazza è costata molto a noi cittadini e molto poco ai privati. Ora la camera 101 mi attende. Non c'è fondo alla Piazza dell'Oppressione.

giovedì 11 agosto 2011

Non ha senso

Non ha senso: il fatto che scrivo a quest'ora è una chiara testimonianza di vita insana. Dato che non ha senso che scrivo a quest'ora non avrà senso neppure ciò che scrivo. Quindi secondo logica non dovrei scrivere ma visto che lo sto facendo sono ad un punto illogico. Siccome il punto è illogico sono coerente con i precedenti post di questo blog. Pertanto in base alla personale coerenza mi impongo di  scrivere ciò che non ha senso manifestandolo con l'atto insensato della scrittura. Mi baso su quel che sono ovvero illogico, insano, privo di senso e tutto ciò che faccio lo faccio solo se privo di senso. 

venerdì 22 luglio 2011

Consumiamo insieme!!!

Cambia la tua vita, cambia il layout del tuo blog, deridi la stanchezza e schiaffeggia la solitudine, qui con noi potrai divertirti! Sono tante le droghe che ti vendiamo: hashish, marijuana e chetamina! Il tutto per una buona mattina! Il sole è già alto è tempo di abbassare le persiane, prenota il tuo ristorante di fiducia! Consumiamo insieme!!! Siamo patologici, escatologici, ecologici, pedofili, zoofili e necrofili! Drogati anche tu alla riserva indiana lontana dalla civiltà, in via George Washington 14, Atlanta, ci troverai nella sede della Made in China!!! copyright U.s.A...

domenica 3 luglio 2011

Sangue Mobile

Mi sento male, lo stomaco avverte il cuore. Rimbalzano anni di plenezza esistenziale in un vortice domato solo con la fede, con il rimorso e il labirinto del se fosse. Forse avrei potuto essere migliore, in tante cose il mio nome è accostato a qualche faccenda, a qualche misero valore. Provo ad essere un uomo e a essere un uomo di valore, trovo un socio e mi sconvolgo, trovo una segretaria e me la trombo. Le sigarette oggi sono strisce, servono per il mestiere che faccio, sto lì a sparare cazzate sragionando e perdendo la stima dei miei familiari, non che questi contino molto. Chi legge più? faccio prima a scrivere una mail personale, faccio prima ad imbucare qualche lettera d'amore che sta lì a prender polvere. Sono pochi i minuti che mancano, sono tanti gli oggetti che ho descritto eppure sono ancora qui col singhiozzo, il vomito e la rabbia, con i capelli irregolari e le tasche bucate, e più assimilo e più sperpero, ho le tasche bucate, i cervelli bucati, i polsi bucati e gli affetti bucati, e più mi smuovo per tappare e più affondo il coltello, una "sangue mobile" ingorda che affetta il mio corpo e lo getta in pasto alle iene, un tempo lo ero anche io, ora son depresso, non conto più il resto, fregami pure.

venerdì 3 giugno 2011

Willy TM

Sono irato, nervoso, provo odio. Desidero vendetta dalle martellate e cazzotti smascellanti in pieno pugilato. Una persona, un essere blu, coi capelli piuma, mi ronza intorno civettando con me.
Sono Willy e sono un alcolista
Sono qui per raccontarvi di come sono caduto dalla rupe. Mi sono rotto la testa ed ora vorrei guarire, lo stomaco sale in bocca e sbavo. questa tipa, la blu, la pedino per tutto il Desert Bar TM e bevo due ACME per rilassarmi, poi ne offro uno a lei, cominciano a girarmi le stelle alcoliche per la testa, mi ammanetta al letto e mi ruba i documenti dalla calzamaglia marrone, poi mi tira il martello, ora ho due bernoccoli di cui uno in testa. Gli occhi erano formati da cerchi cromatici attorno alla pupilla, viola - giallo - verde ecco la combinazione per la cassaforte che le voglio tirare quando la rivedo. Mi fotografa nudo e il giorno dopo mi chiama per garantirne il privato e a telefonata conclusa sento solo un Beep Beep, stupidi telefoni jazz che vendono alla quarta strada fra Kirk Gramler e John Milton. Mia moglie seppe tutto e volle il divorzio. Mio figlio si è suicidato. Non avevo i soldi per comprarle.
Non bevo da un anno e cinque giorni e progetto giorno e notte la mia vendetta. Ho studiato, ponderato, il cervello non frullava così da tempo. Non c'erano parole nelle mie scene, nelle sue c'era sempre quell'irritante Beep Beep. Ci vedemmo al privè alla cima del locale, c'erano sei piani sotto di noi, avevo una cassaforte fra le mani e fissavo lei appoggiata alla ringhiera. La vendetta era in atto. Corro contro di lei a passo calmo, alzo le gambe fuori dalle possibilità di un essere antropomorfo e non faccio rumore, la musica pare accompagnarmi, passo per passo. Scivolo sul sudore di un porco col papillon rosso che era caduto prima , lei si sposta e io proseguo oltre lei, a testa in giù, provo a sentire il pavimento sotto i piedi, prima con il pollice, poi con le altre dita fino al mignolo con cui verifico più volte tintinnando a vuoto. Non c'è nulla, provo a fare elica con la coda ma i 9,81 m/s mi invocano a presa rapida, mi spiaccico e dall'alto non si vede che una nuvola di fumo e io che giaccio inerme privo di respiro. PUFF sono morto Beep Beep!

giovedì 2 giugno 2011

Le nuvole frantumate

Alzo lo sguardo e scende il cappuccio dalla mia nuca, alle speranze comuni i miei occhi si distraggono, le nuvole si frantumano e le piogge acide boicottano le esistenze. Cinque soldati in fuga dai tutù, da terra provano a rialzarsi, guardano il cielo e i loro occhi si imbruniscono. Caltanissetta, Polla, Barcellona del Pozzo, Novi Ligure e Bastardo suonan le trombe solenni, in pace con un Dio antico. Le scommesse dei segretari del biliardo si smacchiano con azioni retrograde, pure e quasi cristiane. Lo stadio della Collera si manifesta fra i sentieri negativi e gli slogan trepidanti si ricopron di sussurri autunnali. Quando estate fu in un altro post, un altro ragazzo visse la sua spiritualità con occhi trasbordanti, irreali e magici. Le lettere che gli scrissi furono ignorate, i tirocini derisi e i migliori amici si diedero alla forca. Un flagello governativo tutto paesano, all'estero mi chiamavano il sottomesso dei sottomessi, a casa mi lamentavo dei miei fratelli e loro di me, nessuno amava l'altro, nessuno dava un pezzo di sè, nessuno era vivo perché nessuno aiutava l'altro e continueremo ancora a lamentarci: ci pisciano addosso e ancora a dire che piove.

domenica 22 maggio 2011

Il calamano digitale

Qualcuno ancora mi legge, spera in una mia maturazione, nello sbocciare di uno scrittore, che questo sappia: attende invano. Cresco fra l'inerzia esistenziale e il perdurare del mio guscio e delle sue allergie. Le notti insonni si susseguono e compongono questo diario pseudoindividuale, racchiuso in sé e in ogni male. -Come va?- nei post con lo sputo qualcosa ha un senso, un soffitto significa chiuso, sicuro e no cielo; il cielo si fa scuro neppure i cani predatori fra le auto, qualcuno si dilegua ma è poca cosa. Pochi spazi, il calmano digitale a singhiozzi prosegue inesorabile, lento e incapace come un sindacato. Fui adolescente e non, più tempo mi ci volle e la sigaretta si spense, in mille ceneri spesse, ingrumate in quel microscopico spazio. Il silenziarsi del minuscolo operaio di cui tutti si farciscono la bocca, il perdurare della crisi a cui tutti si attaccano per far affondare i nemici, le azioni che non ho comprato perché ero a un corteo, la banca del compagno di lotta. Non morirò, la fuga mi uccide, sopravvivo. Non vivrò, la morte mi scruta, sono moribondo.

domenica 15 maggio 2011

Flussi di compostaggio

Vengo sulle colline dove la morte traspare, dove la vita è un inganno, un mesto ricordo. Un amarcord lento, di facce altisonanti, di racconti militari e di malattie sessuali, infettive ai primordi. I generali nelle battaglie si fecero ferite, oggi le cicatrici multicolori nei social network bestemmiano moderate. Io non penso in questi flussi di compostaggio, di rifiuti macerati e camorre solide. Rimbalzo nei ritmi di amianto, sono figlio dello schianto, della miseria di cui mi vanto, resto fermo fra i testicoli omosessuali. Guai a chi spergiura sulla qualsiasi cosa, guai a chi non vede l'alba o la donna che ama con sguardi mai visti.Guai a chi mesto va verso i sentieri vecchi senza rivolger parola alle persone nuove.

sabato 14 maggio 2011

Homo machina

Quando sorpassi una porsche in curva evitando uno steccato non aspettarti di trovare sonno fra il cuscino e le lenzuola. Il tempo è denaro, se hai tempo da spendere stai certo che mancherà il denaro, se invece hai il denaro da spendere non avrai tempo da perdere, il tempo è denaro.  Vivi 24 ore, 8 di queste dormi, altre 8 produci e altre 8 consumi; così va meglio. In quelle 8 ore che consumi sappi che sei controllato, indirizzato, qualcuno ti guida verso una vita sana, e chi se non il tuo datore di lavoro, che ti vuole bello e pimpante per produrre; e chi se non la religione che non ti vuole immerso nei vizi. Il tuo consumo è un freno, è un modo per sapere quello che stai facendo, sei un criceto che gira la ruota ma non dimagrisce. 8 ore dormi e lo fai non perchè hai sonno, è difficile dormire, lo fai perchè la mattina devi lavorare. Vivi 25000 gironi, 8000 di questi dormi. La vita è un progetto preciso. Un terzo del tempo sveglio lo passi a prepararti professionalmente, una seconda parte a produrre ed una terza a riciclare la tua pensione in farmaci miracolosi che ti fan vivere anni innaturali. E' tempo di svegliarsi prima di addormentarsi, è tempo di trovare lavoro, è tempo di studiare, è tempo di creare una mappa concettuale fatta di step e analisi di bilancio esistenziale, di programmazione vitale, è il tempo comprato dal denaro, e di questo tu ne sei schiavo, onore a te homo machina.

mercoledì 4 maggio 2011

Le elementari e la commedia

La tensione e la realtà deformata, questo sento/provo mentre sono in commedia, ho 7 anni e sono in II B, sono sul palco e i miei genitori mi flashano gaudiosi, ho paura di sbagliare, mi trema tutto, anche la lingua, i denti stridono e sbattono, battuta prego. Faccio l'albero non ho battute, al massimo mi abbattono, ecco una battuta, pessima, ora mi abbattono. Mia sorella in seconda fila attende il mio errore per ridere, è un pò emozionata, lei mancò alla recita quando era in II poiché aveva la febbre o almeno così diceva. Mi sono distratto, non mi muovo, come son bravo, tremo perché sono un ottimo albero con il vento e le foglie, tremo perché Wendy mi piace e Peter Pan è bello. Mi gratto con un ramo e mi perdo nel bosco, sento un lago, mi scappa la pipì, ecco il fiume scendere a cascata dal monte, mi scappa la pipì, scusami Wendy, non filmate genitori miei, ridi sorella il tuo momento è arrivato, ecco un'albero innaffiato.

martedì 3 maggio 2011

La notte e la Minerva bagnata

Vorrei prestarmi alla notte muto come lei, nell'assordante silenzio che ti attira, ti rende insonne e ti squaderna l'ispirazione. Con il dovere del mattino sempre più vicino e il delirio notturno dello star sveglio, nel vuoto, nell'atmosfera trasbordante dei lampioni fiochi e delle auto singhiozzanti. Guardare la luna con l'emisfero celebrale esatto, con lo stomaco di ferro e il ghiaccio dei piedi ritmatici fuori al balcone. Vorrei un bicchiere di vino e una pipa, senza saperla fumare, per oziare senza chiudere gli occhi. Ascoltare la pioggia ancora in culla fra le nuvole discendere a gocce lente sui tetti. Sentire un desiderio nuovo come di amore per la propria casa ma solo dopo tanto odio, sentire l'acqua assordante piovere sul tavolo, nelle scarpe e nel proprio letto, sentire che qualcosa non va e non riuscire a dormire. Sapere che l'alba comunque ci sarà col terreno friabile e un passo incerto, col fiato rapido, con la solita sigaretta spenta e la Minerva bagnata.

venerdì 29 aprile 2011

Il risveglio

Vorrei una colazione senza piatti svolazzanti, grigi malumori o scale al posto delle sedie. Un risveglio comodo quasi come se stessi per addormentarmi e lieve la mia soglia di attenzione si innalza con sinfonie live sul terrazzo del mio garage. Sniffare l'aroma del caffè arabo o brasiliano di cui il cuscino si impregna, il tintinnare del suo buonumore con una camicia un poco usata, nella notte gettata, e dolci baci sul collo. Alzarmi nudo dal letto e indossare la vestaglia solo quando ne ho voglia, socchiudere gli occhi con il sole mattutino degno della primavera inoltrata. Scendere in ascensore in cucina dove il cane scodinzolante è fra i piedi, gustare l'armonia della famiglia, degli affetti e proseguire sapendo dove si è diretti. Andare a lavoro felici, anche se questo è straziante, fare un passo e vedere l'orizzonte allontanarsi, fare un passo per fare un miglio. E' proprio una bella giornata.

lunedì 18 aprile 2011

Filo e Marionette

Corro lento lungo il percorso precostituito, nessun Kerouac sulla strada, solo haiku veloci -vorrei essere il mare perché non so nuotare-
Un portico in dimensioni ridotte divien caverna per il barbone, con la sua biro smembra gli amici scomparsi, con la sua bottiglia di cartone li commemora. Son nato in un attimo sbagliato, fra fragole in aceto, fra un bluff e un asso nel calzino ed ora raddrizzo il bersaglio, sguscio dagli errori giustificati e m'addentro in referendum individuali. Risorgo dalle buste paga e canalizzo lo stress in freccette da bar, in silenzi ponderati, in quiete artistica. Un coccodrillo al talk show ha mangiato una velina. E' stata un'ottima serata, ho ancora la giacca in dosso e dormirò senza vestiti, nudo di sogni e quant'altro, privo di sgorbi e tatuaggi ma solo lenzuola e capelli, ventre e cuscino. La boa nell'universo mi tiene a galla, il non-pensiero è perdonato, il parco è allagato, non ci sono hippy nel mio futuro ma solo giacche nel grigio stereotipato, prego per un lavoro, studio a singhiozzo, spero nel purgatorio, massima aspirazione, ripudio la precarietà ma ci sono dentro, siamo una massa di zimbelli digrignanti fra i denti a dire sissignore, desiderosi di padrone, ad essere sul mercato pronti a rinunciar a parenti ed amici per sopravvivere. Che smettessero di zampillare soldi dalla mente, dal tempo e dai portafogli e che Dio la smettesse di trattarci da filo e marionette e ci desse carne, dignità e venisse in aiuto giungendo meno.

venerdì 8 aprile 2011

Il millennio ardimentoso

Le monete si fanno tese, si spalmano sul collo e indirizzano dei ragni alla gola, le gomme si incastrano fra le assenze continuate, mai nessuno alla porta, qualche cocktail metropolitano e una bufera parlamentare. Le croste del dito indice si azzuffano al metro, le guardie del corpo governano le cooperative. Qualcuno muore. Le angosce delle tesi per uno studente, le gocce d'asfalto per il poeta, le miniere d'argento del pubblicitario, le grafiche d'autore. Il millennio della satira è ardimentoso per quanto fa schifo ad un piede sibilla le lucciole figlie del firmamento. Cancellarono il passato, cancellando il futuro, si opposero alle linee del tempo, mallearono i costrutti mentali di ogni individuo, relegarono in castigo le bocche assetate di cibo e quelle affamate d'acqua. Costruirono mercenari lungo il fiume, il cavaliere sempre lì, tutti lo conoscono meglio di chiunque altro, chiedi in giro e ti diranno 
- Quel vecchio pazzo vuole guadare il fiume da anni, tutti lo guardiamo-
- E voi che fate nella vita?-
- Aspettiamo una sua mossa-


Non cercare il senso in quello che scrivo, sono solo stressato, pieno di ansie e se mi rivolgi parola sarò scurrile. Questo post non ha senso. Come se poi tu che leggi pretendi qualcosa...
post scriptum
non lo rileggerò se trovi errori sappi che sono ateo non gnostico.

martedì 22 marzo 2011

Morte breve

Le lampade di cloroformio assopiscono le fiamme dell'arbusto, una serpe a sei piedi si aggancia all'agnello, con la coda nelle reni la sodomizza fra le bestemmie, la sua bocca sputa fuoco tosando il pelo del pastorello. Nella Sardegna è normale ma negli inferi vi è una metamorfosi, un uomo con una belva entrano in scena, cooperano violenti, non sono ancora uno ma nemmeno più due. L'immagine disastrata del ventre perforato dagli aguzzi denti del delfino rabbrividiscono i tuoi occhi. Lettore che ti inebri dei versi infantili, oggi mi accingo a dirti che un'evoluzione c'è per tutti e la mia è bassa e fraudolenta, ti riguarda, te lo scrivo dal proscenico degli inferi, dalle malefatte degli uomini che qui si fan bestie. I versi del Demonio, te li incido sul viso, come graffi su una lavagna le tue orecchie desisteranno e morranno con te. Con me la tua vita s'annulla, l'inquieto avanza e s'arrampica fra le debolezze di cui ti doti. Con me la sirena sarà tarda, la sua frenata non potrai sentire perché ciò che ti aspetta è una morte infatua e sommessa, nessuna riga su un giornale, neppure sul necrologio, ti aspetta una bara con le mie iniziali. Perché prima di me non vi è nulla e nessuno.

martedì 15 marzo 2011

Lei, l'abaco e le molecole

Con lo sfoco fra gli occhi leggo queste tristi righe di un poeta morto in Occidente. Sono quelle di un fischio bramato per il tempo breve che una vita condiscende. Sarà senz'altro qualunque gioco di orologio, ma si è consci che l'oro è'orologio ossia il tempo è denaro. Il tuo leggere è una lacrima d'intelletto compromesso, avrei potuto il mondo nella sua specificità, avrei potuto imitare i baffi in gesti e invece son qua alle quattro del mattino l'angoscia e un pò di vino. Non sono un illuso ma ho le mie vertebre salde a respirare di ragione, ho i miei amici prosperi e docili, fatti come me se non meglio in inganni e pie condizioni. Ho i miliardi fra le gambe, il fulcro della terra, le auto scintillanti pronte a sporcarsi di fango magrebino. Chi mi darà da respirare un inutile cocktail da quattro soldi, chi mi restituirà la tristezza fra le mani, dipende da lei. Sono il dio del mondo ma con lei sono suo umile servitore, è la mia esistenza, proietto me in lei, in loro, dimentico le fusioni molecolari che condizionano la molteplicità. La guerra del potere è loro, la paura è tutta mia e per tutt'altro. Sbaglio molto e le tonsille annaspano nel gonfiore, le chiedo scusa una volta in più del dovuto e la consolo, la cosa peggiore al mondo, dopo mille volte,  mi rendo conto di aver sbagliato, chiedo ancora scusa. Ha ragione, come sempre e sono fiero di avere torto, perchè cresco, son triste perchè deve crescermi, le chiedo scusa, solo perchè mi ama. Cosa sto? E' questo sentirsi vivo? Con chi parlo? Non mi leggo neppure quando scrivo perdo il segno come un morto al delirio son poeta e lo so, non provo però, lascio le lettere agli innocenti e il mondo ai perdenti.

venerdì 4 marzo 2011

Quiete a fette

Era la noia, fuggivo da lei notte e giorno, non sapevo la meta ma solo la fuga. Una fuga in ciak dalle foreste di clacson e semafori rotti, dalle cerniere spente e orchestre di motori. In cerca di sudamericane aranciate, di liquori atrofizzanti, di calci nelle costole e verbi andati a male. Affogavo tutto nel banale bar fatto di costellazioni precise, agli angoli gli ubriachi in pensione mentre nel pieno dell'arena i giovani cinguettanti degni della provincia anni ottanta, retrograda di trenta. Dico ciao e non mi alzo, me ne vado ma resto lì, seguo corsi di dattilografia ma spremo le fragole con la fronte per mestiere. Succhi gastrici eruttano silenti nel water, c'è anche un nido di luci e gocce. Ogni fiume di parole che esce da un'edicola, da una casa, da una scuola, sono parole perse e sprecate, usate a breve termine, presuntuose di essere portanti per l'esistenza umana, il pane serve, l'acqua per diversi motivi ma talvolta le parole possono riposarsi. Si scagliano le donnine in cerca di un gringo, di un hermanito da sfoltire, son larghe e assetate bussano alla Libia, tre volte impone il codice segreto. Baciamo le zampe alle bestie, noi in giacca con la cravatta a strozzarci, loro nelle tende d'oro. Non voltarti, non ascoltarli, le privazioni aprono un mondo e più che scappare dalla noia si cerca una curiosa quiete, a fette, in polvere, condensata in mille gas da inalare con la collettività. Voglio una città dove ad ora di cena non volino piatti dalle finestre con parole aggrappate ai paracadute, c'è sempre qualche passante a raccoglierle e pronto a riciclarle con altri malefattori. Mai spandere il verbo, mai mercificare la parola. Non pagherò più una bolletta se ho il prurito.Stupida S.I.P.

mercoledì 2 marzo 2011

La spesa e il resto mancato.

Scrivo e ne ho bisogno più  del respiro, ossigeno depurato in caramelle alla gola. Delle donne dai vestiti strambi, delle calze a rete, del miele delle api e dell'oro dei pirati.


 Entrai in una profumeria in cerca di un balsamo, la luce sembrava quella di una soap opera, forse meno volgare, di sicuro forte e artificiosa. Mi accolse una commessa a metà fra una nevrosi coprofoba e una dolcezza estetica. Aveva occhialini precisi e li appuntava come se avesse un tic. Era una donna di mezza età ma si curava molto, non nascondendo le sue rughe, equilibrata anche nel trucco, leggero e a modo sulle guance ed a contornare gli occhi. Le chiesi il balsamo e lei lo prese con tranquillità, il suo passo era lento e coordinato, ritmico e lievemente piacente. Chiese se mi occorreva altro, era piccola mentre parlava, quasi si miniaturizzava ad ogni parola detta. Era imbarazzata, quasi a disagio nel suo stesso locale, le dissi di non preoccuparsi che avevo tutto e salutai.
Entrai poi al supermercato, urgevano le uova, 6 uova corrispondono a 3 pranzi abbondanti. Una signora col bastone faceva la verticale a rilento, mentre la cassiera con un retino raccoglieva migliaia di 1,2,5 centesimi in picchiata dalle tasche della vecchia. Un uomo provava a leggere una scritta, era molto grande, chiese il mio aiuto, gli cadde la dentiera e lo ammetto, gliela rubai. Era troppo forte la tentazione. Il salumiere tagliava con virilità i salumi, utilizzava il coltello, era un duro altro che affettatrice. Le over 50 di età e di taglia lo guardavano estasiate, come il bulletto fuori scuola, quello definito solitamente zotico dal tempo, lo ammiravano e come ai concerti gli lanciavano indumenti intimi. Qualcuna imbrogliò lanciando il tanga della nipote. Lo zotico abboccò. Presi le uova, la seconda marca meno economica, la più economica è finita, esistono scaffali vuoti con prezzi stracciati, la crisi ci indigna meno. Alla cassa ovviamente pagavo una cifra che terminava con nove centesimi. Il cassiere non aveva il resto ma il retino era saldo fra le mani. Gli chiesi il centesimo di resto dicendo che portava fortuna, se invece l'avesse conservato lui io sarei diventato sfortunato. Questo mi rispose ovviamente che se il centesimo avesse funzionato non sarebbe stato ad un supermercato ma altrove. Pensai dove. Non gli diedi torto, non mi diede il centesimo. Non sorrisi molto, non mi diede il resto.

sabato 26 febbraio 2011

L'Immorale Banalità

Disorientato su questa terra ascolto quel che di più internazionale mi si propina, gocce di dialoghi tradotti, doppiati, integrati marginalmente alla cultura che appartiene alla mia fazione razziale. Scadono i come stai, gli arrivederci dai guai, le folle guidate dalla solitudine, dall'aggregazione, dal prolungamento naturale del sè. Piovono i fischi al passaggio di una donna e un citrullo con la sua voce stridula e squillante dilania un -che sventola!- facendomi vomitare, le mie rotelle si perdono e inseguo il mio senno sulla luna dopo aver girato a lungo gli Stati Uniti dell'Eurasia, eutanasia, aborto, fragole marroni, le siringhe sono geloni dove una signora anziana grida sommessa: Son due giorni che non mi faccio e piango da sempre, aiutatemi a guarire, mio padre mi picchia e non riesco a vivere senza di lui. Un culattone grida in tv, chiunque vuoi che tu sia, isterico e patetico si liscia il pelo che in diagonale si poggia sulle lenti. 5 minuti dopo il Cinegiornale Luce Oscura parla un Ciccione, un tempo cadevano e ridevamo ora parlano e rimpiangiamo il passato. Il cappuccio al mattino non lo voglio più sentire, ne qualunque banalizzante qui pro quo latino, errare humanum est perseverare autem diabolicum. Rammendando Scorre, Marco Mastrandrea perso nel suo alter-ego, in quel prolungamento del sè che non riconosce, però, soffre se non va oltre la solitudine. Approccio con le cose, specialmente le ceneriere del frigo come è pratica comune. Ecco che ritorna. Continua, to be continued, The End, Fine, Fin.

venerdì 11 febbraio 2011

Caro Diario: Tesi d'Aprile

Farò un libro su un pasticciere trotskista. Sarà la mia opera migliore, grazie Nanni, il tuo diario generazionale lo colgo in eredità, tu deluso non dai politici ma dagli uomini che questi erano ed io invece dal nulla, non ho un partito, ho un uomo e null'altro da votare, io ho gli anni zero. Risaltasti i giornalisti incoerenti, qui va risaltato l'uomo decente, quello coerente, è il raro che mostra la regola. Mi deprime vedere gli intellettuali che lavorano con strategiche comunicazioni in favore di un padrone-aziendalista-caporedattore. Io giornalista, io pubblicitario, io politico, sono un'azienda, tutti sotto il mio ordine, tutti con un marchio e nome e cognome. Tutti i partiti, eccetto uno, hanno il nome del candidato sul simbolo, anche se non vi è alcuna elezione imminente. Come può una persona rappresentare e governare un popolo, io voterò una lista dove oltre chi la guida non posso decidere null'altro, concentro i poteri in mano ad una sola persona, vuol dire che voglio una dittatura. Nanni qui nessuno vota più e chi vota è meglio se non lo fa, i sociologi dicono che il voto di fatto non serve a nulla e che il non voto ancora meno. Nanni qui stiamo male c'è bisogno di un musical, e sappi che qui ad Aprile non nascerà nessuno che si chiami Pietro o Mattia, Romano o Nichi. Al massimo qui ad Aprile morirà qualcuno ma non è colui che tu speri.

sabato 5 febbraio 2011

Lacrime marmoree

Col fiatone per le scale dedico poche righe allo zerbino appena stuprato e al tempo zampillante. Nata da giovane, la lancetta perforò l'uomo attraverso campanili e poi big ben vari, i padroni delle fabbriche corsero immediatamente a procurarsene uno nel taschino, i turni erano bugiardi, i lavoratori faticavano mentre i padroni ingannavano il tempo. La felicità dell'auto è mirabolosa, non mi crederai mai ma gli alberi sfrecciavano come mai e i giri del motore diminuivano solo davanti alle corte gonne. Poi tutto d'un tratto il proiettile si placò, vidi le sue guance e il cuore si impennò in altri modi, puri, casti, come nell'infanzia delle risse, delle gocce al bar e i lidi estivi. Sembravamo tutti dei brigatisti con baffi e ricci mentre le statue fisse, marmoree, trasudavano ai bordi, trascinavano il peso della falsità storica, della fatica inesistente, soffrivano per il peso di una fatica mai fatta. Il non fare nulla mai fu così atroce, mai si pagò al punto di piangere per un merito involuto. Erano lacrime. Basta poco, non serve niente.

martedì 1 febbraio 2011

Siero Autunnale

Ci scrutiamo nel buio in cerca di facce amiche, chi vive all'oscuro della luce non ha nulla da nascondere ma di sicuro non vuole mostrare nulla. Ciò che scrivo i miei occhi non lo leggono, questi però si abituano al nero pece e immaginano sagome innamorate, coglie cavi fra le mani pronti ad affogare mentre li bacia. La luna frantumata crolla in uno schianto ecumenico, fa sprazzi di luce sul sentiero, mostra desideri senza spine in parti intime del siero autunnale. L'intelletto m'impone di procedere a capo chino, l'ambiente è spumoso e al contempo decolorato, le secche si lasciano inondare da travolgenti passioni, nel campeggio fanno corteo, fra fiaccole e compiacimenti indefiniti. I flussi di coscienza migrano in altri calamai, belli come non mai, sbarbati e trini. L'ossesso spettrale che si ripete in me è la voce del mio partigiano custode, timoroso di essere dal lato giusto ma nel settore errato. Ho timore di essere un illuso, mi rendo conto che è una certezza, l'illusione e il fatto di esserlo. Con una pentola e le bacchette sveglio le tende iraniane accampate, mastico arbusti e gli aghi di pino si fanno filo interdentale. L'organico si ricicla da sè. Mi ripeto con voce scodinzolante che demolirò le radici e asfalterò i tappeti per darti il benvenuto, con una tessera o con una cena. Se non sono esploso vuol dire che domani mi sposo.

sabato 29 gennaio 2011

Ai lati d'italiA

Il paese dei santi s'assopisce nel vilipendio ulceroso, nel mistico del degrado, fisico e morale che sia, correlato e consequenziale. son rime da software inverti le parole, ed ecco privo di candore la soluzione, hai il tuo indice alfabetico, è questo il poeta cybernetico. 
-Chi ha urlato?- strillò un uomo contrariato. -Son io figlio di Dio, populista moderno con Marchionne mi unsi d'eterno-
-Eh! I tuoi corbezzoli son stanchi, rivisita i capezzoli al prezzo di scafo!- rivisitai i capezzoli nella fosca, fra i teli vidi una lite, s'era messa la sera chiese la ragazza, si mi ripeto è colpa della cistite! 
Il poeta si diverte smisuratamente, trallallero trallalà, disse triste Marzullo, da sempre mi domando se lurido e vermoso abbia una moglie. Tra le poesie di Bondi scorsi un verso, fra i mille non-t'amo e i migliaia di contenti ti voglio bene, vita vitale...si riferiva al suo amore homossesso, al suo padrone che col guinzaglio lo frustava, forse era vita virale, contagio di un'esistenza superflua e dannosa. Un rapido quadro: chinato da un bastone, L'unico Boss Virile, questo è il suo anagramma, chiese voti per un pò di pane, la ragazza chiese il sesso per un pò di castità, tutti danno e meno traggono, più danno e meno prendono, prima lo si impara poi .....trallalero trallalà e cade la casa, trallallerò trallalà non hai più fiducia, trallallero trallalà e Marcuse si fa inferno. Eros e inciviltà un testo di Menabò De Sanctis, una pubblicità sperimentale in un romanzo FIAT, le insegne della CISL dicono: meno tutela e più vantaggi. I pubblicitari corrono a fare ctrl+C e poi ctrl+V, ci disegnano su in corrispondenza al meno tutela un ombrello verde e al più vantaggi un codice a barre. Poco molto poco resta di questo poco....nessuno se ne rammarica....piano molto piano scivola piano ma non cade...piano piano. La vecchia sbarra la porta, Porta la vecchia sbarra e la porta sbarra la vecchia. Questi sono i tre poli Ai lati d'italiA. E' questo che conta.

lunedì 17 gennaio 2011

Circo funebre

Scrivo in trasferta questa sera, sono sempre gelido fuori ad un balcone meridionale, un uomo sbuffa del mio naso rosso, forse è fuori luogo, lui è senz'altro fuori luogo. Al cimitero c'è un asiatico di Pozzuoli con il parrucchino che mi offre il cappuccio mentre fa un numero con le carte davvero impossibile, rifiuto, sfrecciano a grande velocità dei nani con corni sul collo e una bici verticale. Una donna cannone seducente ha il velo nero piange il suo marito Giorgio Accendimiccia, è la prima volta che lo abbandona senza più ritrovarlo. La donna conosce dov'è il corpo del marito in bara con Hans RuotaPalle, è sotterrato sul posto di lavoro, il circo migliore della città. Corre saltellante una giacca con righe rosse e bianche verticali e un lecca lecca come bastone, dice di possedere il maggior numero di accenti possibili in un nome, vallo a capire. Gli uomini delle tigri, molto truccati e dalle lunghe chiome hanno un po' di grasso in eccesso, le divise non gli entrano e qualche tatuaggio si è sbiadito. Sono sempre duri, le cameriere col vassoio di cocaina li rispettano ancora, le pin up li annusano scodinzolanti e il padrone ordina giochi proibiti. Una musica da circo viene suonata lentamente e i passi quasi non li sento più, pare di girare un film con focalizzazione interna zero, tutti scorrono in vesti arcobaleno in un aria grigia, il vento arde e le cravatte si inscuriscono, qualche fiore dalla giacca mi bagna. Una donna con le piume di pavone e un altra coi capelli lumaca mi appoggiano, quasi fossi inerme, su un davanzale, tutti mi guardano con fazzoletti miopi, con lacrime da frigo li vedo di lato, sono in orizzontale, penso di essere morto. Un uomo mi guarda con disprezzo, è indignato, è lo stesso dell'entrata. Avrei voluto salutarti. Padre, o padre.

sabato 15 gennaio 2011

Schizofrenia paranoide al pancreas

Riempio con queste righe gli spazi, per deviare la mia libide altrove come chiunque, un succo gastrico è bloccato alla laringe e non sale nè scende, è un ragno saporito, le mie papille gustano le sue piastrine, lercio rallento la fusione ontologica del pancreas. Scrivo per colmare gli spazi e bloccare il tempo, rendere indelebile e immortale come qualunque parola o disegno dalla preistoria, come un siriano fantastico su tappeti di canapa, su mocassini aerei e fiaccole serbe. Sono solo poche parole, poche porche parole. Il professore di Cinema conosce la materia consapevolmente ma è distratto e percepisce solo il vero della sua finzione, s'addentra in tecnici discorsi trini e sabbiosi dai quali non riemerge e smette d'esser ramingo. Risveglio le tappe dell'esistenza annullandomi, in una stanza vuota colmo i muri con scritte, divento schizofrenico paranoico rileggendole, chili di scontrini nei miei cassetti, ossessivo compulsivo, questi si rompono cadono ai piani bassi dove l'acqua dei bagni è ossidata e marrone, capisco cosa devo aspettarmi dal domani. L'elezioni regionali filtrano nella cupola, urta il fatto che scrivo di loro come fossi a un bar. Metropolitamo è pronta per il 2015, la scarpa si fa minerva e la sigaretta è accesa, ora ho da fare questa è l'ultima poi smetto, in barba a Zeno già lento tremo. Raggiungo Neve e i sette lupi nelle ginestre vesuviane e cambio stato. Vado all'inferno, Messico aspettami devo parlarti. In questo stato di crisi, dimostrato dalla televisione accesa, guardo le pubblicità e sono convinto di non esserne persuaso, non sento mitra minacciare i miei neuroni, la cosa mi turba. Riprendo i miei pensieri lungo la strada, viottolo per il mare deandreiano, il pastore servo è come me, legge Joyce e canta messa nei dialoghi. Compaiono delle immagini, tutti leggono dei fogli, pare utopia, l'editoria ha raggiunto un risultato, leggono assorti, chi sorride, chi sghignazza compiaciuto, chi in lacrime bacia i suoi bambini e chi strappa la carta indignato. Ecco, come liquido seminale in carica, prima dell'orgasmo, gli occhi godono di un'estasi irripetibile, poi quasi tutti vanno alle poste, è tempo di pagare le tasse. La delusione si concretizza in definitivo quando al termine compare scritto: Poste Italiane, da sempre con te. Mai più leggerò se non ad occhi chiusi.