venerdì 6 marzo 2015

In via dei Savorgnan


   Bere un litro di caffè perché la sbronza non deve arrivare, no. Non adesso, non è il momento, è il tempo della rincorsa alla lucidità dopo l’abile amaro pronto a tirare fuori l’ultimo sprazzo di brio salutare in sala d’attesa dai tempi dell’adolescenza. E’ l’ennesima stanza d’albergo annuale da fuorisede, da sopravvissuto del sussidio e sogni un reddito da sfaticato per dedicarti al raggiungimento dell’alba ogni giorno. Tranne il sabato. Quello è il giorno in cui non si esce la sera e presto si giunge a letto, la domenica mattina è il tempo sprezzante in cui correre lungo le rive del lago della Prenestina, zompettare i cocci di pietra dell’Appia antica, immaginare la lungomare da scorrere traversando le rughe del sonno altrui.

   Bere un litro di vino non ha mai fatto male in via dei Savorgnan, la puoi trovare solo se cerchi un paese certosino nella metropoli. Non esiste civico e non esiste nemmeno il luogo di cui ti scrivo. O meglio esiste il martedì, giovedì, domenica ma solo se qualcuno te ne parla. O te ne scrive. Non andarci è teppismo spicciolo. Andarci è per pochi soci bene informati. Occhio alla telecamera.

   Puoi entrare in un parco di palazzi e bussare a una cantina, lì è ancora abbastanza caldo per sfogliare qualche salume sotto il palato e degustare amatoriale le gocce di rosso versati nei bicchieri della Nutella. Qualcuno sbatterà forte il bicchiere di cognac contro una vite appena appena fuori di un giro dall’avvitamento dei pensieri. E’ un tavolo raffazzonato con legno scippato ai falò. Alla tua destra, tra l’acquario e il pianoforte vedrai una giovane coppia con un bambino allegro fino a tardi seguace di palloncini e aspiratore di aquiloni. Lei avrà una coda bionda patinata di cavallo, vestita come Lara Croft dopo un giro di furti a Porta Portese. Lui avrà una coda nera con le basi laterali rasate e un pizzetto messicano torpignattaro da esibire con un largo sorriso e una tuta. 

Ti diranno ci accompagna Riccardo a casa, lui è radiotaxi, noi sbronzi e stanchi e lui a inseguire tutto ciò che vola e quando cade respinge sempre al cielo qualsiasi cosa cada. 
Faranno cadere i calici e balleranno sopra i vetri brilluccicanti come loro, insieme a Riccardo. Una sera tanto ci vuole e come diceva il mago Trilussa echissene'. Certi che il tipo della cantina dirà fa niente alla prossima.

   Se non si vuole scorrere il lungo acquedotto, abbandonare la cantina e procedere verso via Casilina, prendere il notturno numero diciotto chiamato anche il cielo è sempre più blu, prima ancora imparare gli orari a memoria, e ritrovare a bordo i bangladini che ogni giorno ti vendono il latte, il vino, la birra, il kebab, la pizza, il caffè. Scrutare il loro volto, sentirne gli odori, memorizzare la loro solitudine di gruppo. Al mattino li troverai lì, ovunque sia. La notte sono uniti, al mattino divisi si spargono per Roma e ti aspettano consapevoli della lezione di un vecchio proverbio usato dalle loro parti se non sai sorridere, non aprire bottega.

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