domenica 29 aprile 2012

Ripercorrere

Ripercorrere la strada solcata da un uomo, dal te passato, da chi ti ha generato. Ripercorrere i luoghi e gli avvenimenti convulsamente, toccare quanto la mente inconsciamente rimuove, percepire il diritto all'esistenza, il progresso.

Ripercorrere il progressivo evolversi di tuo nonno, di tuo padre; giungere al loro apice e proseguire, verso la discesa; conoscere la strada futura è ripercorrere l'esistenza altrui prima che la propria.

Il bianco e nero delle foto, i quaranta grigi sullo sfondo, il fiocco elementare e il banco di legno. Il controllore sull'autobus, il portinaio, il salumiere, la tabaccaia, il fornaio, il poliziotto, il chirurgo, il professore, l'ingegnere e l'industriale, sono a malapena quattro persone.

Mescolare i mestieri vissuti di sponda, per memoria, per narrato. 

Ripercorrere la fame, passeggiare con loro la domenica per sniffare l'odore della carne dai balconi d'oro. Vendere il porco e non poterlo mangiare: questa è la città. Entrare al cinema la prima volta a vent'anni, scoprirsi impotente con lo stipendio statale, scoprirsi ricco dopo essere stato prodigo scugnizzo di una famiglia povera.

Scoprire il comunismo estremo degli anni 70, i libri e le interviste, l'attacchinaggio alle pareti di una donna con la gonna non troppo lunga, trovare in quella donna tua madre e difenderla quando  la chiamano puttana e non militante.

Scoprire Tannio il Brigante e i colpi in petto, sentire le cinghiate della notte prima del matrimonio, scoprire il fucile ancora carico del tuo bisnonno. Partire per due guerre come volontario, per un po' di pane e qualche terra non promessa. Sentirsi fascista, sentirsi demilitarizzato, sentirsi in lotta continua.

Scoprire la campagna, i monti e i ciucciari. Scoprire le mille "fatie" della giovane nonna, vederla in gamba e coi capelli neri da sempre. Sentire sulla pelle le cicatrici altrui, puzzare di letame in città, avere la schiena distrutta: ripetere il percorso altrui. Abbracciare un uomo alla corda e seppellirlo sotto un fiore, morire con lui.


 Scoprire il proprio futuro è ripercorre il passato altrui.
Continua il percorso: 
Ripercorrere: Compagna suggestione 
Ripercorrere: La cento e 4
Ripercorrere: Questo sconosciuto

sabato 28 aprile 2012

La vallata


I piedi nudi danzarono sul prato, le piante sottili aderirono scaltre, le dita silenti entrarono in contatto col verde profumo della vallata. Le urla giocose dei pargoli viaggiarono fra i monti accoglienti che con amplificata dolcezza furono restituite alle orecchie divertite. Gli alberi erano scale da percorrere con umana creatività, il tetto maestoso mostrava orizzonti inesplorati, mai il finito sembrò più immenso. I piedi nudi affondarono nella calorosa terra, accogliente e perennemente gravida di vita. Il muschio pizzicava l'olfatto e l'aria gonfiava i polmoni fino a imbarazzare il fiato, un colpo di tosse e un amaro sorriso. Il sole baciava le labbra e le parole della giovane fanciulla nel suo antico canto. Il ruscello abbeverava la comunità limitrofa, le donne e gli uomini, i vecchi e i bambini, nessuno era escluso: era il padre di tutti.

venerdì 27 aprile 2012

Pater Stimolog

Non ci crederai amico caro, erano lì, non mi sentivo più solo. Ero appeso come solo nella penna solitaria, nel battere e levare con accordi e note per sfamarmi. Sentii un usignolo, un dolce menestrello cantare, triste e sentimentale, gaudioso e geniale. Mi vendette le rime di poco conto per lei, la donna del mondo. Ora basta; siamo seri: ho da raccontare di amici veri. Con le rime basta, asciutta si bagna la pasta, ops la patta. Dai, basta: volevo dire una cosa vera: ho un amicizia seria. Ero contento quando ho iniziato a scrivere, adesso sono frustrato perché il verbo ho cambiato, per una rima di troppo per una parola mi scotto, il senso del parlare a nulla vuol servire. Ecco ce l'ho fatta, la rimamania mi ha abbandonato. Volevo dire del menestrello, amico di sempre da poche righe, sorella poesia e fratello di mille libri, padre della mia vita. Era in calzamaglia, mio padre, con una zucca al seguito. Fammi ridere!- a mio padre disse: Allieta il banchetto! Urlava contro mio padre stridulo il manager orientale. Ho vissuto un trauma, per mio padre, da quando si ferì alla mano divenne il buffone di corte, non viveva davvero, mio padre, ma nutriva in me la speranza. Tutto questo in realtà non lo sapevo, te lo racconto ma non potevo saperlo. Lui viaggiava sempre, io credevo fosse un ambasciatore. Quando lo vidi con la calzamaglia di 3 colori, giallo, blu e verde: diventai daltonico. Non ci crederai caro amico, ma oggi scrivo su un blog e ho tanti amici che lo fanno, ognuno ha la sua casa comoda e padre genetico. Cerco di ricostruire la storia della vita di mio padre, vorrei incontrarlo, mio padre, prossima tappa il Cilento. E' tempo di esplorare tutto il Mediterraneo, prima o poi lo troverò, mio padre.

sabato 21 aprile 2012

La ScAlata

Dall'antica scalata dell'uomo lettera
Un abbraccio, due o tre parole e quattro ore di sonno; prosegui la serie passa per i sette draghi, è la strada giusta per essere dei nostri. Supera le curve della costa sotto la sfuriata dei chiodi zampillanti, scarta le donne e non farti ammaliare dai loro uteri, son teneri ma annacquati. Mostraci le rughe, se sono fuori per lavoro, lasciati solcare il viso come gli Unni, sarà rapido e indolore. Le lingue sconvolte puoi darle a Babele, lei è in turbolenta attesa all'ultimo piano, se non sali lei scenderà dal tetto in strada con un cuscino in trevirgolasette secondi. Non far caso alla polvere sui mobili, al massimo passaci il dito e digerisci i batteri al tatto; non soffermarti. Io e lei dobbiamo scappare c'è Non Dire Mio che aspetta la Vecchia Romagna, la decrescita e la lentezza. Al ritorno saremo biondi come non lo si è a lungo, irradieremo il tuo cuore, saremo forti e impetuosi, sarai gonfio di affetto. Appagamento o a pagamento questo è il dilemma. La risposta giusta la saprai solo se prosegui la serie. L'ultimo è un incipit per mille romanzi, lì sarai come noi, coi nostri corpi favolosi e accoglienti. Il primo è un abbraccio, quello di tuo padre, quello mai avuto, quello ancora piegato nel cassetto. Se sarai bravo non ci saranno saloni ad accoglierti con adulazioni intellettualistiche, ne poltrone in pelle con cui dondolarti. Ci saranno giovani bambini ad innaffiarti così che sarai uno splendido essere, felice e gaudioso della scalata, sappi però che non saprai rispondere alla domanda: Che cos'è il corpo? 

mercoledì 11 aprile 2012

EmiCrania


Scrivo seduto su pietre aguzze, su falsi miti e su lamiere quadrate. Gli arnesi nel porcile fanno una pulizia marginale, lieve, sommaria, d'apparenza. Scrivo steso e il soffitto piove sulla testa, sento soffocarmi, il vento batte le coltri e i sentieri interrotti, una pentola è il cielo, malvagio mi schiaccia. Le fiere monumentali del cappello con la piuma, il figlio, la moglie, la badante e il corpo, ieri simbolo del potere, d'improvviso si consuma. Tanto filo spinato fra la città e la campagna, fra il lattaio e il negro, resta solamente un fucile da compagnia col pastore a far la guardia. Il delfino sguscia dalla terra molle, sgranata e appassita, fra la nebbia e le ampolle. Ha poco da dire, ripete un'eco a lui noto. 
Ho mal di testa, ecco perché oggi capisco tutto del mondo, di quello piccolo e misero, della sua magnificenza, della fantasmagoria di Duchamp e delle piovre verdi. Prevedo le sue parole, i suoi proiettili, le sue menzogne dolci e i suoi sorrisi nevrotici. Comprendo le crisi esistenziali, politiche e sindacali. Comprendo tutto tranne il dolore, quello interno, viscerale, eruttante dalle cavità sommerse dell'es, pensavo d'esser al crepuscolo dopo ictus e rinunce,  invece tiepida la notte si sfa e l'alba si fa. Ricordo che un tempo ero prossimo alla morte, ma senza il prete buono sarei finito all'inferno, aspettai il suo ritorno dalla missione abissina, ma non sono morto, ho troppi peccati da espiare, non posso morire. Posso solo avere quest'emicrania che non se ne va, dimora in me, passeggia fra i capelli e il naso. Posso solo cedere ai farmaci per vizio, ma per piacere, come molti uomini d'onore, posso solo tirare a campare che è sempre meglio che tirare le cuoia.

giovedì 5 aprile 2012

Esercizi di Non Stile Dada Mama Papa


Dopo tutti i dì, le menzogne e le figure null’altro rimane se non bestemmie e amori. Amore e lotta, amore è lotta e lotta amore. Entrammo fra slanci di serene e pascià, fra sol e re, con re sol, fa re sol. Dada è un pensiero fugace, veloce, rapace: un’orchestra alla finestra. Attraimi con i balli di calzini e le balle da raccontare. Mama non sa che si fa, com’è che dà e che sarà, sa solo che un assolo la aiuterà. Il ritmo fresco, snello, mesto e bello: mesto è bello. I negozi di kuss kuss nel bus, le parole che si violentano da sole, si violentano da sole le signore, i signori hanno ben troppi umori. Il grigio al sole, sole folle, folle se, folle sole. Adieu francesco Forlani, le tue mani con cui batti le mani, i piedi, le cosce e le angosce. Papa, non ci sta è morto.  

martedì 3 aprile 2012

InQuadro

Le periferie nei cimiteri, i quartieri in coma e i ventricoli in affanno. La città nel quadro era nell'agio adatto, nel grande centro s'addensava il tutto, cumuli di persone, folle di cenere, tram incastrati negli alberi e metro che trainavano palazzi di amianto. Cammino per la strada maestra in cerca di uno sguardo, un incrocio nobile allo stesso tempo sarcastico, un amore a prima e ultima vista, uno scontro. Nessuno guardava nessuno. Sbadato urto un auricolare con il suo signore a spasso, questo prosegue, la giacca s'aggiusta da sola. Alcuni avevano tic, camminavano goffi, sembravano a disagio con quei vestiti, perdevano fogli e si aggiustavano continuamente gli occhiali: erano finanzieri, notai, architetti, commercialisti. Alcuni avevano un filo da seguire, una traiettoria fatta di passi che seguitano passi d'altri: erano avvocati che inseguivano magistrati, camerieri che inseguivano i clienti sbadati o poco furbi, c'erano i volontari delle associazioni umanitarie a delinquere che inseguivano i polli. Mi sento male, urge un vicolo con un ex puttana dedita al contrabbando, con una sigaretta appoggiata sulla bocca della giovane puttana, con i bambini che raccolgono le cicche e se le tirano dietro per giocare, con dei tossici che giocano con la vita. La città ebbe solo un grande centro, tutti ben vestiti e ripuliti dai negozi, le culture  di periferia scomparse, rifugiate in chissà quale paradiso e m'accontento dei vicoli del non posso, del faccio quel che posso, del centro lontano soldi luce. Un quadro e poco più, passo al prossimo della mostra. Non sono un esperto d'arte ma lui voleva a tutti i costi che ci fossi. Vedo lei, celeste e nera negli abbagli di primavera. Spiegami il prossimo.