mercoledì 11 aprile 2012

EmiCrania


Scrivo seduto su pietre aguzze, su falsi miti e su lamiere quadrate. Gli arnesi nel porcile fanno una pulizia marginale, lieve, sommaria, d'apparenza. Scrivo steso e il soffitto piove sulla testa, sento soffocarmi, il vento batte le coltri e i sentieri interrotti, una pentola è il cielo, malvagio mi schiaccia. Le fiere monumentali del cappello con la piuma, il figlio, la moglie, la badante e il corpo, ieri simbolo del potere, d'improvviso si consuma. Tanto filo spinato fra la città e la campagna, fra il lattaio e il negro, resta solamente un fucile da compagnia col pastore a far la guardia. Il delfino sguscia dalla terra molle, sgranata e appassita, fra la nebbia e le ampolle. Ha poco da dire, ripete un'eco a lui noto. 
Ho mal di testa, ecco perché oggi capisco tutto del mondo, di quello piccolo e misero, della sua magnificenza, della fantasmagoria di Duchamp e delle piovre verdi. Prevedo le sue parole, i suoi proiettili, le sue menzogne dolci e i suoi sorrisi nevrotici. Comprendo le crisi esistenziali, politiche e sindacali. Comprendo tutto tranne il dolore, quello interno, viscerale, eruttante dalle cavità sommerse dell'es, pensavo d'esser al crepuscolo dopo ictus e rinunce,  invece tiepida la notte si sfa e l'alba si fa. Ricordo che un tempo ero prossimo alla morte, ma senza il prete buono sarei finito all'inferno, aspettai il suo ritorno dalla missione abissina, ma non sono morto, ho troppi peccati da espiare, non posso morire. Posso solo avere quest'emicrania che non se ne va, dimora in me, passeggia fra i capelli e il naso. Posso solo cedere ai farmaci per vizio, ma per piacere, come molti uomini d'onore, posso solo tirare a campare che è sempre meglio che tirare le cuoia.

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