domenica 29 gennaio 2012

Sogni Corrotti

La musica si libera, sospende i corpi fantasmi nel cielo spumoso, nella collina in cui tutto si perde. 

Fresco e puro procedo nelle vallate della mente, nei taccuini degli scrittori, negli appunti dei pazzi. 

L’angolo destro della mano sinistra è macchiato, l’inchiostro spalmato sulle cicatrici, il callo sul profilo del pollice. Scrivo al computer, batto su una tastiera, un dramma non farlo su una macchina per scrivere o su un foglio.

Ricordo del passato dei piccoli sentieri ininterrotti che seguivamo, con lo sguardo fisso, noi ombre in cerca di un corpo da abitare, ricercatori di una sostanza purificatrice. Ricordo del futuro; sono in una cascina fra gente amica e amici della gente, tutti cantiamo, siamo tutti felici e scrittori. 

I libri prima di essere pubblicati giungono fra le sue mani, lei esamina scrupolosa, controlla il conto corrente e scrive una menzogna su un giovanotto di ben pochi talenti; siamo tutti felici e scrittori. I fatti prima di avvenire controllano se a lui sono graditi, la penna forte, il narratore, controlla la ciotola, un po’ di cibo al ghostwriter e l’intellettuale seriale si presta alla società.  

- Le parole sono importanti- urlava il direttore, oggi guarda la sua giornalista alle prime armi un po’ “kitsch” e le dice brava, un biscottino e via il guinzaglio. Tutti felici e scrittori, con seguaci e segugi. E infine l’ultimo, il ragazzo che voleva la barba, quello che chiudeva un drum nell’attesa che uscisse dal palazzo del Potere qualunque politico per assediarlo, quello che intervistava i portaborse delusi per farli cantare, che si sognava magistrato del giornalismo, quello che passava le notti sul pezzo e che riempiva posacenere con cicche gialle e cestini di carta mentre trascurava gli affetti; quello dalla bottiglia vuota e il cervello pieno. 

Ha una barca, un vestito bianco di kashmir, due ex figli e un’amante, una morale nella lavatrice guasta e attrici da raccomandare ai contatti giusti, con le parole giuste perché sono importanti. Lui è il re dei giornaletti delle immagini, delle facce di plastica, la sua di bronzo è ancora lì, quegli applausi in quei salotti un tempo sarebbero parsi sputi, oggi sono il pane, quello più buono nonostante il pane sia sempre pane. 

sabato 28 gennaio 2012

Sveglio Scrivo Dormo

Quando nacqui avevo le lacrime, fra la pelle in avanzo, fra i sorrisi altrui. Oggi quei sorrisi sono nella terra lieve, la pelle va a pennello e ricordare quelle lacrime mi fa sopravvivere. La lampada illuminata dal sole proietta gru che s’affacciano al monitor del computer. La scrivania è immersa di dovrei, di carte, di scartafacci,di lampade rotte, di cannucce, di metronomo, di chiavi, di un fazzoletto strappato o di due fazzoletti interi, di scatole di tabacco, di cartine, filtri sparsi come biglie per la strada, un cimitero di cicche, biglietti di bus, accendi gas scarico, accendino scarico e accendino scarico. Dalla finestra, voluta appositamente di fronte al luogo in cui scrivo, c’è un’ottuagenaria con occhiali spessi e gambe esili, un ragazzo sbronzo, una madre preoccupata, un quarantenne coi capelli lunghi, una telecamera. L’allarme del locale si intreccia con il secondo che proviene da un auto nel vicolo successivo, probabilmente. Un gatto silenzioso fruga nell’umido, è stanco, ferito ad un occhio e molto cane. E’ da tempo che dico – non scriverò mai più quello che vedo- oppure – giuro questa è l’ultima volta- Prima ero orgoglioso di questa abitudine. Mi rende felice, mi aiuta. Quello che vedevo era assimilato, ma dimenticarlo mi intristiva molto spesso, a molti uomini dicono sia il contrario. Tutti dicono di avere pochi ricordi felici, con isterismo si convincono nel racconto che erano davvero felici in quel momento. In realtà, sono felici quando lo raccontano non quando lo vivono. Quando raccontiamo stiamo bene. Quando viviamo stiamo male, ricordarlo è più semplice, ha la sua profondità. Una lieve e continua profondità, quotidiana. Io non voglio soffrire ogni giorno, voglio raccontare ogni minuto, perché mi rende felice, anche se scrivo di cose tristi. Sono anni che mi sveglio, scrivo e dormo, vi assicuro che il ritmo giusto è così: s v e g l i o v i r g o l a s c r i v o v i r g o l a dormo. Un’ora e mezza di film in sedici ore, la percezione è diversa, è un’altra vita rispetto a quella degli altri. Mi sembra di vivere da duecento anni, il ricordo e la descrizione di quanto succede attorno alla scrivania, mi rendono felice. I ricordi non finiscono mai ricordo di  quando ho avuto un’idea geniale, quando ho visto mia madre, quando mi regalarono questa scrivania. Ricordo il primo dialogo che imparai a memoria era tra l’ostetrica e il medico, parlavano di mia madre. Ricordo  il suo sudore,  i suoi capelli sporchi, l’amore che riversò in me per tutta la vita; piangevo. Piangevo perché la sua morte coincise con la mia nascita, lei sorrise e io piansi. 

mercoledì 25 gennaio 2012

Serata fra Amici

Serata fra amici; si fa per dire. Il bluff col servito non lo accetto mai, c'ho perso poco, ma un poco al giorno si perde tutto. Una bottiglia in meno anche oggi, scesa con un amico; si fa per dire. Stava sotto al ponte del Castello, gli ho girato un po' la bottiglia, perché ogni tanto bere in compagnia ti fa sentire meno solo. Avevo finito di lavorare con un gruppo di amici; si fa per dire. Esserlo di fatto è impossibile, il progetto è troppo ambizioso. A pranzo mi sono visto con un'amica; si fa per dire. Una sveltina con la musica e zero baci. Eravamo in pausa, dovevamo urlare e l'ufficio era pieno come il bagno del secondo piano poco dopo. La mattina non era delle migliori, diventerà padre un amico; si fa per dire. Lui convinto che sia suo figlio, io no, io e la moglie siamo amici; si fa per dire. L'ieri sera mi ha proposto una Serata fra amici; si fa per dire.

giovedì 5 gennaio 2012

Vecchie cartacce

Potrei parlare della città delle mele, delle pere, del fumo, quella dove vige il consumo legale e non di sesso, di quella ipermoderna o della regina alla cabina telefonica, di un amarcord insomma. Potrei parlare del giorno di Natale, del 14 Dicembre o dell’11 giugno, del giorno della morte di Cristo o di Che Guevara e invece no. Quel che mi accingo a scrivere è il frutto della serata appena trascorsa, così vera da sembrare noiosa, spero tu non legga e continui a scorrere la tua esistenza anziché rallentarla per queste rigide righe prive di fantasia.
Ciò di cui parlo è la notte degli encefalogrammi piatti, meglio chiamata come “la notte dei cervelli pari”. Nel primo pomeriggio citofona la mia ragazza, Lei insomma, risorta dalla particolare serata  mi bacia con allegria, con l’eccitazione che le ha fatto dimenticare le mutandine. Mia madre donna tapis roulant si lamenta mentre stende i panni mentre mio fratello sbuffa ad ogni passo, perché è così che ha imparato a camminare. Nel cortile murato c’è lei, fuori luogo perché cervelluta, perché normale, a disagio perché le sue unghie si stanno ritirando. Io passivo, schivo qualsiasi ambigua questione fra le donne di casa e lei mi rinchiudo in una passatempo inutile. Avanzano le urla e allo scrollarsi delle pareti tiro le code di tutte loro, le lego e compro delle museruole. Decidiamo fra i pianti imposti dal prete di uscire per acciuffare un po’ d’aria, lei si è messa una lattina fra le gambe mentre io ho uno spago sul pene e al termine dello spago vi è una pietra. Incontriamo altre persone vestite come noi, fra questi Hansel e Gretel stanchi di perdere briciole e desiderosi di gettare vecchi dai cavalcavia. Ci invitano a seguirli, fra noi uno sguardo di coppia risoluta la risposta è-perché no-
Lungo la via incontriamo un tabaccaio, primo uomo del dizionario alla lettera t. Si vanta mentre emana odore di sigaro e suda vapore nicotinato. …to be not continued…

martedì 3 gennaio 2012

AdoleScienza

Quand'ero piccolo scrivevo poesie, piangevo per tutto e scappavo dai cani. Impaurito, al freddo e al buio, camminavo lontano dalla famiglia, trovavo amici su internet e alcuni di questi avevano l'età di mio padre. Un ti voglio bene e una pacca sulla spalla sarebbero bastati e invece ho trovato un amico, forse dieci o cento. Credevo fossero tante versioni delle mie poesie che si concretizzavano: la ragazza cattolica malata terminale, Edward l'assicuratore, Imanuel il pugile e ancora ragazzi, poeti, attori, musicisti, ballerine e drogati. Non ho mai avuto vocazione se non per il complesso familiare, anzi no, anche per quello personale. Sempre ad affogare in un mare di solitudine e noia, in un mare di attenzioni mancate e di sorrisi diplomatici. Sempre estremo, deciso con pochi, incerto con molti, sempre con gli altri a pensare quale mondo potessi contenere, quale fosse il mio mistero. Nulla, il velo della rabbia e della radicalità coprivano il nulla e lo svelavo a poche persone sperando che mi rivoltassero come un calzino, che mi rendessero moderato e sincero, pronto ad affrontare qualsiasi situazione.
 Queste parole, poche e macinate in secondi sono per te, che non sei me, ancora ignaro del tuo futuro, che si ritrova in una frase, in una parola o in una lettera o, meglio ancora, che non si ritrova in nessuno di questi casi. La dedico ai poeti sconfitti o semplicemente agli adolescenti, ai figli borghesi, alle notti insonni, alla curiosità e alla scoperta. Non c'è nulla in questi versi perché non c'è nulla che posso dirti, non c'è nulla nel mio mondo grigio, certi giorni aspetto un pittore, una donna o semplicemente un po' di calore.

domenica 1 gennaio 2012

Lo scrittore


Disegno e dico che scrivo, coloro una casa e dico che vado a scuola. Ho poco tempo per giocare con tutti i giocattoli, uno alla volta per favore. Mamma ho scritto un articolo, mamma guarda come sono bravo. Sì figliolo, sei proprio bravo. Dici che da grande farò lo scrittore. Io ti credo e tu? Gli direi ora con minima punteggiatura. Sono anni che cerco di scrivere un romanzo, fin quando non lo scriverò dovrò continuare a fare il bidello, che si sogna professore e resta bambino.