sabato 28 gennaio 2012

Sveglio Scrivo Dormo

Quando nacqui avevo le lacrime, fra la pelle in avanzo, fra i sorrisi altrui. Oggi quei sorrisi sono nella terra lieve, la pelle va a pennello e ricordare quelle lacrime mi fa sopravvivere. La lampada illuminata dal sole proietta gru che s’affacciano al monitor del computer. La scrivania è immersa di dovrei, di carte, di scartafacci,di lampade rotte, di cannucce, di metronomo, di chiavi, di un fazzoletto strappato o di due fazzoletti interi, di scatole di tabacco, di cartine, filtri sparsi come biglie per la strada, un cimitero di cicche, biglietti di bus, accendi gas scarico, accendino scarico e accendino scarico. Dalla finestra, voluta appositamente di fronte al luogo in cui scrivo, c’è un’ottuagenaria con occhiali spessi e gambe esili, un ragazzo sbronzo, una madre preoccupata, un quarantenne coi capelli lunghi, una telecamera. L’allarme del locale si intreccia con il secondo che proviene da un auto nel vicolo successivo, probabilmente. Un gatto silenzioso fruga nell’umido, è stanco, ferito ad un occhio e molto cane. E’ da tempo che dico – non scriverò mai più quello che vedo- oppure – giuro questa è l’ultima volta- Prima ero orgoglioso di questa abitudine. Mi rende felice, mi aiuta. Quello che vedevo era assimilato, ma dimenticarlo mi intristiva molto spesso, a molti uomini dicono sia il contrario. Tutti dicono di avere pochi ricordi felici, con isterismo si convincono nel racconto che erano davvero felici in quel momento. In realtà, sono felici quando lo raccontano non quando lo vivono. Quando raccontiamo stiamo bene. Quando viviamo stiamo male, ricordarlo è più semplice, ha la sua profondità. Una lieve e continua profondità, quotidiana. Io non voglio soffrire ogni giorno, voglio raccontare ogni minuto, perché mi rende felice, anche se scrivo di cose tristi. Sono anni che mi sveglio, scrivo e dormo, vi assicuro che il ritmo giusto è così: s v e g l i o v i r g o l a s c r i v o v i r g o l a dormo. Un’ora e mezza di film in sedici ore, la percezione è diversa, è un’altra vita rispetto a quella degli altri. Mi sembra di vivere da duecento anni, il ricordo e la descrizione di quanto succede attorno alla scrivania, mi rendono felice. I ricordi non finiscono mai ricordo di  quando ho avuto un’idea geniale, quando ho visto mia madre, quando mi regalarono questa scrivania. Ricordo il primo dialogo che imparai a memoria era tra l’ostetrica e il medico, parlavano di mia madre. Ricordo  il suo sudore,  i suoi capelli sporchi, l’amore che riversò in me per tutta la vita; piangevo. Piangevo perché la sua morte coincise con la mia nascita, lei sorrise e io piansi. 

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