lunedì 10 giugno 2013

Piano piano

Quando colpiva sui tasti le mani tremavano. Non sbagliava un colpo, era sempre alla ricerca della nota giusta. Sapeva della battuta recitata bene, un nero e poi un bianco e poi via a ritmo sincopato dava un colpo alla serata per tutti. Magari avrebbe conquistato, lei, se solo avesse pensato che da qualche tempo le donne lo cercavano per i locali della città. Si diceva un gran bene di lui, si era sparsa la voce di orgasmi, discoteche di musica classica, jazz, fusion, country sui tavoli.
Era nuovo è già l’eco delle sue melodie, delle note giuste al posto giusto al momento giusto rintoccavano nell'aria. Se gli facevi notare che quelle due americane al tavolo, bionde quanto turiste, lo mangiavano con gli occhi quasi sbagliava una nota ma timido abbassava la testa e tornava a marciare. Dimenticava in fretta e ligio recitava umano e delicato sui tasti, li accarezzava come delle cosce vergini.
Dopo due giorni senza giocattolo, ci adoperammo per trovargli un piano. C’era questo locale a sinistra, vicino le mura, dove era possibile suonare ma girava voce di un proprietario dai modi selettivi e di poche parole. Due pezzi di base per chiunque ma se qualcosa non lo convinceva chiudeva il piano senza troppi clamori. Nessuno protestava, chiunque sapeva le regole e tacito le rispettava.
Lui, guardingo entra nel locale, noi alle spalle puntiamo al bancone. Lui con passo a contornare il perimetro del locale studia i tavoli, i presenti, empatico raccoglie i sudori della sala. Un paio di partite a scacchi, il biliardino coperto e una cartomante in attesa dell’atmosfera per adescare e suggestionare al meglio i clienti. Il piano a dirla tutta non era un granché: era scordato in diversi punti e le ottave basse e quelle alte erano mute. Gli piacevano i piani toccati da mille mani, sentiva tutti i suonatori precedenti, sentiva le sensibilità del tocco trascorso, adescava i punti rovinati, consumati e li rigenerava, amava l’idea di conoscere in uno sfasamento temporale le anime dei passanti: si sentiva meno solo fra tutti loro.
La sala applaude e il proprietario chiude subito l’offerta sulle birre del giorno, ha capito che c’è puzza di grana, che qualcuno sarebbe entrato perché le note che suonava uscivano fuori e riempivano la strada come l’odore dei laboratori di pasticceria quando si fa alba.
Lui, senza accorgersene, aveva mille donne, due fra tutte amavano ascoltarlo, avrebbero litigato per lui, forse si sarebbero conciliate per lui. Erano bionde quanto turiste, erano americane. Noi, in attesa di una sua mossa, parlavamo delle parole giuste sulle note giuste, pensavamo ai cantautori ma era chiaro che non ci fosse molto da dire: la scena era sua senza che lo sapesse e se l’avesse saputo sarebbe scappato. Gli mostriamo le bionde, ora ci odia, scappa ma sappiamo che quando lo rivedremo non proverà più rancori, sarà un piacere offrirgli da bere, dicono che l’alcol lo fa parlare, fino ad allora: cerchiamo le parole giuste per raccontarlo.


Ti va di ascoltarlo? Fahien improvvisa!