lunedì 20 gennaio 2014

45 ricoveri


Un poeta. Si affaccia alla finestra del tavolino. Rompe i dialoghi affannati. Interrompe i lunghi respiri. Col fiato sospeso tiriamo gli occhi dal bicchiere. Ride guitto come se sapesse le nostre misere storie, la nostra vita priva di legami. E’ vecchio, biancoso, con i canini giallo oro e il cappello nervoso. Chiede di sedersi. Pagliaccio pronto a divertirsi. Lei gli chiede di improvvisare, lui dice che quella è roba da attori. Lui è poeta. Lei chiede una poesia d'amore. Lui chiede Cosa mi dai in cambio?, le prende una sigaretta; le sue sono nascoste nel giaccone. Mi dice Leggimi e rilascia una denuncia a suo nome presso la caserma del quartiere. Non riceve pensione. E’ per tre quarti invalido e danzante. Dopo 45 ricoveri, uomo classe ’52, si fa dire dall’assistente sociale Tu non sei normale. Lo ha mandato da una psichiatra - Come era bona - dice che gli ha dato del bipolare. Ao’ – inveisce offeso – Io so’ borderlain’. Per la pensione si improvvisa bipolare puro. Dice di aver dichiarato guerra ai ricchi con la poesia. Ricorda di Marisol, il suo amore ninfomane che non dice mai di no. Ci ruba il vino e ride guitto. Stava bene anche con Merz Bau, a Zurigo, dice di aver fatto un orgia dadaista e che c’era pure Lenin prima di fare la rivoluzione. Una notte alle 3 e 30 del mattino si sveglia per ispirazione, di solito si gira nel cartone. Non quella notte. Una pausa lunga per dire Vuoi vedere che sono nato a Macerata ma le poesie mie sono meglio di quello di Recanati? A memoria fruga nella mente, con le pause battute asilari fra le dita delle mani. Dice che la notte se scrive fa meno freddo, però scrivere lo frega, come quella volta che non lo portò sotto il ponte a dormire. 2 Giugno 2010. Si accende una sigaretta, ora fuori dal giaccone. Quel giorno scrisse male dell’Italia, poi ripensò a Marisol, che diceva sempre sì, come tutte le donne intelligenti, le uniche a cui dedicava le poesie. Per 5 euro le dedicava a tutte. Finisce a cantare in spagnolo col profumo del mare e i sorrisi di sabbia. Rigetta aggressivo l’infamità del prossimo. Non mi frega niente di quegli stronzi e poi ride come ride della pensione, delle poste, delle donne. Dobbiamo andare, la monotonia ci chiama. Con tutte le brutte parole del dialetto mio confuso dibatte il cappello. Non vuole essere scaricato. Si alza senza chiedere, senza dire, senza rime. E’ donna come la musa. Vate del mondo o almeno, idolo – morboso- del quartiere. Un Poeta.

domenica 19 gennaio 2014

La trappola dello specchio


Mentre affolli il bicchiere dei rapiti, dei reclusi, dei ricercati. Mentre affolli una discoteca con la schiuma scontentata, svagata, pulita, in un imprevisto concordato. Mentre rischi per giungere alla gloria, per annaffiare la penna, per trovare contatti e contanti. Mentre strusci silenzioso fra serate altrui dove rubare i discorsi, assorbire i fardelli, sfuggire all'ambiente. Mentre proclami la rivoluzione a testa bassa, le scrivi di amarla, componi poesie senza leggerle. Mentre resti intrappolato nello specchio delle volontà di argilla senti i denti sporcarsi, nervoso un molare tira come fosse attaccato a una fune legata a un furgone in quinta che sfanga sulla metropoli pop antisociale.

C’è solo un momento in cui tutto questo finisce; quando vieni liberato dal carcere entri in un centro sociale e strappi il manifesto in cui è stampato il tuo volto con sotto scritto “libero”. Recluso o ricercato puoi liberarti dalle tue prigioni. Se non ti chiami Lander, tocca a te. Nelle prigioni sorrideremo agli amici distratti, non li ascolteremo, torneremo ai mille pensieri, alle mille paure, alle inibizioni che ci allontanano. Presto riprenderemo a parlarci, ma forse no, ci riavvicineremo al tempo dei balli di gruppo e degli schermi piatti, lucidi e sognanti su cui verseremo lacrime di infarti, nuvole sentimentali e rivoluzioni dolci che ci scalderanno in una coperta corta che saprà farci dormire domando la tempesta di incubi di latta.