lunedì 29 giugno 2009

Oceano ambulante

I miei arnesi urlano estremi desideri, ci credi? Entrano a piedi pari sul malleolo e ballano con rum, finestre e vicoli con luna fra i ponti.

I nostri sospiri sospesi sono fra silenzi coesi. Eravamo metronomo e bilancia. Io pendevo dalle lunghe gambe nei deserti affollati.
Chi è senza tatto? Torno bambino a pranzo, oggi aquiloni al miele, i miei fratelli han violentato le pene, i tuoi cori sterili, poco fascisti, io e i giacobini alla porta la violentammo, lei ancora sconvolta, sette lingue e help from god, help from god.

Gli alieni vaccinati, i tuoi spiriti alla stazione, il mio ponte raffreddato. Ti amo, ma non lo ammetto e fingo un tuono e mi cuccio sotto il letto, ladro di un profondo senso.

Le luci con in braccio grattacieli di oceani, gira il rap al piano cantautorato da me, stonato e imputato per diritto.

La morte nel tè, la morte in te, la morte nei se, la morte in sé.

Govoni insegna: ogni giorno lo specchio ispira al suicidio, ma poi taglio le vene, ma poi è solo barba. Un fuori luogo da crocifiggere.

Ti lascio una falce sola, senza martello. Senza figli né custodi.



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