sabato 5 novembre 2011

La sedia e il cavalcavia

La spia della tua cam è accesa, ti guardo, ti spio e mi infiltro nelle tue mura domestiche. Derubo la tua intimità, preservata a tutti anche a te stesso, forse troppo spesso. Ti scruto ridendo, ridicolizzandoti, sei una parodia del tuo ego, guardati. Ero lì quando hai gettato la sedia a rotelle di tua moglie giù dal cavalcavia e quando hai ucciso i tuoi figli. Forse questo non è successo, forse ho esagerato, ma è così che ti senti, così ti voglio far sentire. La tua sofferenza è la mia gioia, il tuo culto è il mio clown, la tua donna è la mia troia. Non ci sono mezzi termini per descrivere la tua vita, non ci sono svolte o volte buone, una piatta discesa, un encefalogramma mutilato in una terza dimensione. La luna ti ruba una lacrima e credi di provare un'emozione, ma che vuoi che sia quello sputo nel cielo. Cade una apple dalla window e ti credi Newton o Gates o Jobs. Sono il furto del tuo linguaggio, la tua lingua si allunga e assapora poche gocce, credi di esserti dissetato. Nessuno ti comprende perché sei scarso, non speciale, non ti impegni nel sociale e ti credi timido, disadattato. Non sei nulla, il bene e il male per te sono concetti insensibili. La spia della tua cam è accesa ma nessuno ti guarda, nemmeno io, ti senti solo e spaventato perché sei pavido, pavido, pavido.

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