sabato 7 settembre 2013

A Quattrocchi pari: una festa alla rovescia


Quartiere d’arnese prendi la bici, corri in paese, abbraccia la città borghese.

Scortese come sempre, come piace, con cameriere, artisti e baristi. Silenziosi in viola, pensione pussa via, lascia stare la parrucca, le tesi e la provincia della pipa.

Tre bicchieri verdi: nausea, gusto, allucinazione. Altri tre Easter color color niente. Acchiapparello - Che bello e non guardarmi così mamma bancone - L’acqua fa male. Chissà quanta acqua per eliminare.

Estate pura, dai graffi sulle ginocchia, i dadi, i ciclisti ubriachi e gli equilibristi del sorriso. La stanza capitolina persa fra finestre riposanti. 

Approfondisci con gli occhiali neri di Pasolini; disagiato. Fremo con le vertigini scure di Calvino.

Respira sottotono - I’m the wrong sector of the right side - Ossessivo lo ripetevi carogna di un vinaiolo, romanzista in borghese, fenglese ribelle, ma quando l’hai letto? Quand’ero a letto.

Quando ti innamori divori libri senza occhiali. Quando ami, ti stabilizzi, leggi opuscoli gialli senza dentista. Povere madri senza preti. Ma che bella fiaba, falla finire male, schiacciale gli occhi col fiato degli dei balordi: lo spettatore resta con te.

Conte del brindisi di una festa alla rovescia, senza te, senza noi, in silenzio ti insinui fra case: sei il benvenuto. Sgraffi il muro delle vecchie osterie: urbe, urbe, urbe: urca Campana. Graffita underground, esploratore dei se, navighi e viaggi nelle ipotesi con i potrei, con i vorrei. Uno è poca roba. Servono tavoli e commensali.

Il quadro dove è nascosto? Un dialogo. O vivi o scrivi? Hai ragione: ineguagliabile milionetrecentomilalire. Sei ore. Sono senza soldi. Epigrammato.

Fantascientifico maestro, fammi ridere ancora un po’ con il maestro dell’Havana per caso, raccontami ancora di qualche fascista, fallo tu che puoi. Aiutami a amare le nere-ricce-giocose. Giochiamo ai cavalli (lo ripeterò), ti mostro la scorza, lascio la pelle su graffi di felicità.

Ancora un bicchiere, non voglio spinte né prole, un sussurro ancora. Ingrana marce marce che marciano inesistenti sul tuo cinquantino, schiarisci gli occhi e sogna ancora un po’, scruta nel passato fibroso e magmatico. Ctonio. Ctonio. Parole sconosciute emergono laviche, non leggere, sono devoto al sensibile, sono citazioni, odiamole insieme. 

Qualcuno ama, sottovoce, senza cultura, con il Cilento in tasca, con Easter sarcastica, con il suono sparviero, con i fuori-uomini-burocratici-supersonici degli “schiacciami gli occhi”, con i fuori percorso, con i filtri critici salvavita Edizioni, con le Istituzioni.

Silenzio in sala, lo spettacolo sta per cominciare, spegnete i cellulari, ultimo schizzo, viola, burocrazia pascoliana, confusione fuori e dentro, felicità, ansia e respiro, e ancora poeti di strada: fammi sentire il mare morto fra i lupi di periferia.

Anarchico sei, ingenuo ti credo quando dici: andiamo a giocare i cavalli, guardiamo il nome più stronzo che c’è e asfaltiamo le stagioni con letterine natali e consensi monetari zieschi. Senza partita iva.

C’era un critico e poi… gli avvocati compagni, il papillon fascista, Bologna e Firenze, Antipitti e degrado targato Bo, le vacanze, i cocomeri scuartati per farti fresco polacco e indegni bambini, l’alluvione, la protezione civile dei sensi e pannocchie molotov feltrinelliane.

Un diario, il narcisismo e così via. Facci una lettera, dicci come la diccì bravi però poi, facci sentire piccoli, come delle statuine collodiane che – sotto i sonni dei lettori - prendono carne e si scusano all’urto con i passanti turisti di turno.

Fuori capitolo: I Division gioe, maicovschi, maiale, malfatto, come la suora Samantha mi innamoravo di tutto correvo dietro i cani albini depressi. Rap.

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