venerdì 19 aprile 2013

Immigrant child


Piccolo. Abbastanza per passare fra due sbarre. Grande. Di un cuore puro e maldestro. La memoria è già dolore, non serve. Quando parla adotta spesso il futuro, non gli appartiene ma perché gli altri lo capiscano si impegna però non lo sa scrivere o non vuole. Piccolo. Da dire che una parola lunga sia il treno, una accogliente la casa, una dolce la torta. Grande. Per dire "ti voglio bene" ai cani perversi, da rispondere a occhi chiusi. Piccolo. Perché le giostre siano grandi, amiche girevoli, altalenanti, dondolose. Perché siano il fortino da conquistare, il castello da proteggere. Per essere un indiano contro gli uomini bianchi, per ululare correndo, per sgattaiolare fra i tetti, per suonare con delle bacchette le lattine, per cantare poesie con una sola vocale. Piccolo. Ma non abbastanza da capire che la casa in cui vive è un’automobile, le case con le ruote si muovono e come il sole la notte ti riposi con lei. Grande. Per coprire i freddi e tremolanti uomini neri alla stazione. Piccolo. Da nascondere l’amore e la fanciullezza fra le persone segrete. Grande. Non ancora per sognare solo quando si dorme.

Nessun commento:

Posta un commento