lunedì 13 agosto 2012

Il dolore atavico


Da quant'è che soffre l'anima mia?

Sento emergere un dolore atavico, un proseguimento della narrazione umana e della sua esistenza. Sento l'eco di un mostro in una caverna, la spada medioevale nel petto e nella schiena. Provo a baciare una donna, prima di andare al rogo. Dovrei aprire gli occhi con egoismo: ricercare il mio dolore, non quello altrui. Ma così non è. L'emigrante scappa, il brigante lotta. Il partigiano affronta il dolore anche quando è più forte: vuole sentire tutte le fruste sul viso, i tizzoni ardenti sul braccio, i topi danzanti sul corpo,  i fucili di Dio e di Beethoven.

Da quant'è che vivo d'altro?

Da quando ho preso la penna, da quando tasto le fontane di sangue del petto. Da quando ho perso il cuore, o meglio l'ho regalato. Da allora scruto nei vostri occhi, nelle luci degli alberi, nelle pareti naturali, nei buchi d'acqua. Ho bisogno di osservare e percepire l'umanità più costosa, di sudare per fotografare gli istanti altrui di gioia. Oggi, non riesco a vivere, e milioni come me accettano il dolore e la morte anziché l'eros per vivere qualche attimo animale.

Mi chiedi - Come posso aiutarti? -

Raccontami una bella storia o ricordami di quando ti hanno ammazzato.


Nessun commento:

Posta un commento