lunedì 17 gennaio 2011

Circo funebre

Scrivo in trasferta questa sera, sono sempre gelido fuori ad un balcone meridionale, un uomo sbuffa del mio naso rosso, forse è fuori luogo, lui è senz'altro fuori luogo. Al cimitero c'è un asiatico di Pozzuoli con il parrucchino che mi offre il cappuccio mentre fa un numero con le carte davvero impossibile, rifiuto, sfrecciano a grande velocità dei nani con corni sul collo e una bici verticale. Una donna cannone seducente ha il velo nero piange il suo marito Giorgio Accendimiccia, è la prima volta che lo abbandona senza più ritrovarlo. La donna conosce dov'è il corpo del marito in bara con Hans RuotaPalle, è sotterrato sul posto di lavoro, il circo migliore della città. Corre saltellante una giacca con righe rosse e bianche verticali e un lecca lecca come bastone, dice di possedere il maggior numero di accenti possibili in un nome, vallo a capire. Gli uomini delle tigri, molto truccati e dalle lunghe chiome hanno un po' di grasso in eccesso, le divise non gli entrano e qualche tatuaggio si è sbiadito. Sono sempre duri, le cameriere col vassoio di cocaina li rispettano ancora, le pin up li annusano scodinzolanti e il padrone ordina giochi proibiti. Una musica da circo viene suonata lentamente e i passi quasi non li sento più, pare di girare un film con focalizzazione interna zero, tutti scorrono in vesti arcobaleno in un aria grigia, il vento arde e le cravatte si inscuriscono, qualche fiore dalla giacca mi bagna. Una donna con le piume di pavone e un altra coi capelli lumaca mi appoggiano, quasi fossi inerme, su un davanzale, tutti mi guardano con fazzoletti miopi, con lacrime da frigo li vedo di lato, sono in orizzontale, penso di essere morto. Un uomo mi guarda con disprezzo, è indignato, è lo stesso dell'entrata. Avrei voluto salutarti. Padre, o padre.

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