Quando nacqui avevo le lacrime, fra la pelle in avanzo, fra
i sorrisi altrui. Oggi quei sorrisi sono nella terra lieve, la pelle va a
pennello e ricordare quelle lacrime mi fa sopravvivere. La lampada illuminata
dal sole proietta gru che s’affacciano al monitor del computer. La scrivania è
immersa di dovrei, di carte, di scartafacci,di lampade rotte, di cannucce, di metronomo, di chiavi, di un fazzoletto strappato o di due fazzoletti interi, di scatole di tabacco, di cartine,
filtri sparsi come biglie per la strada, un cimitero di cicche, biglietti di
bus, accendi gas scarico, accendino scarico e accendino scarico. Dalla finestra,
voluta appositamente di fronte al luogo in cui scrivo, c’è un’ottuagenaria con
occhiali spessi e gambe esili, un ragazzo sbronzo, una madre preoccupata, un
quarantenne coi capelli lunghi, una telecamera. L’allarme del locale si
intreccia con il secondo che proviene da un auto nel vicolo successivo,
probabilmente. Un gatto silenzioso fruga nell’umido, è stanco, ferito ad un
occhio e molto cane. E’ da tempo che dico – non scriverò mai più quello che
vedo- oppure – giuro questa è l’ultima volta- Prima ero orgoglioso di questa
abitudine. Mi rende felice, mi aiuta. Quello che vedevo era assimilato, ma
dimenticarlo mi intristiva molto spesso, a molti uomini dicono sia il
contrario. Tutti dicono di avere pochi ricordi felici, con isterismo si
convincono nel racconto che erano davvero felici in quel momento. In realtà,
sono felici quando lo raccontano non quando lo vivono. Quando raccontiamo
stiamo bene. Quando viviamo stiamo male, ricordarlo è più semplice, ha la sua
profondità. Una lieve e continua profondità, quotidiana. Io non voglio soffrire
ogni giorno, voglio raccontare ogni minuto, perché mi rende felice, anche se
scrivo di cose tristi. Sono anni che mi sveglio, scrivo e dormo, vi assicuro
che il ritmo giusto è così: s v e g l i o v i r g o l a s c r i v o v i r g o l
a dormo. Un’ora e mezza di film in sedici ore, la percezione è diversa, è
un’altra vita rispetto a quella degli altri. Mi sembra di vivere da duecento
anni, il ricordo e la descrizione di quanto succede attorno alla scrivania, mi
rendono felice. I ricordi non finiscono mai ricordo di quando ho avuto un’idea geniale, quando ho
visto mia madre, quando mi regalarono questa scrivania. Ricordo il primo
dialogo che imparai a memoria era tra l’ostetrica e il medico, parlavano di mia
madre. Ricordo il suo sudore, i suoi capelli sporchi, l’amore che riversò
in me per tutta la vita; piangevo. Piangevo perché la sua morte coincise con la
mia nascita, lei sorrise e io piansi.
Nessun commento:
Posta un commento