Colpa del viso sfatto: il frenologo del capitale rapì la ragione di mio padre. Quando scrivevo protendevo il mento avanti, quasi a frugare,
col naso schiacciato fisso sulle miserie del labbro superiore smosso. Col tempo i denti migrarono fra l’inchiostro di chi vive ai margini. Il muso si spostò,
il viso cambiò. Il naso cosparso di polvere da sparo. Le
scapole pressate nei continui piegamenti in cerca di tartufi per la ragione che motivassero
i fucili; la guerra giusta: il quotidiano scalare.
Bevevo acqua per dimenticare i crimini dei ribelli, le armi
chimiche delle infermiere, per nascondermi dalla caccia. Deglutivo pillole comportamentali in ore stabilite. Nulla
scomposto. Tutto qui: quando amavamo, ci facevano l'elettrochoc perché, dicevano, un pazzo non deve amare nessuno.
Il messia era accaventiquattro, cigolava nella paglia di una
grotta ricoperta dal vuoto. Un pazzo che urlava al cielo tutto il suo amore in Dio. L’arido trascinava i pensieri nell’immenso divino.
Campo di concentramento involontario. Avevo i tratti somatici tumefatti dallo
scrivere. Lo ripeto. La colonna vertebrale incrinata, curva, cigolante come le
porte di pietra della sua grotta. La madre aveva destinato Cristo fra noi
pazienti di Dio.
Dio camice bianco.
Stasera tocca a lei. Stasera tocca a te. Determina le nostre vite, si insinua fra le nostre debolezze, uccide i figli che mai avremo. Non dormire stanotte, non ho voglia di svegliarti, me lo ripete senza
guardare gli occhi miei belli strafatti, giuro senza pianto. Prosegue dicendo: prega,
prega fino all’impossibile e sarò lì con te. Immagina, non puoi. Tu sarai mia,
sacrificio settimanale, programmato in turni, quando sarai finita, esaurita,
sarai sterilizzata, non metterai più al mondo altri pazzi.
Per me scriverai versi indimenticabili, avrai la tua Palestina,
a me non resta che fare Dio. Interrogami ogni giorno sulle morti delle vicine di letto, sui malanni al tuo sesso, ad ogni assenza di risposta ti cullerò nel silenzio, nel mistero. Sei
mia. Paziente che non sei altro.
Pausa caffè? Chiede l’infermiera. No, c’è molto da sbrigare:
avanti il prossimo.
Una volta fuori di lì, come Gesù mi sono ridestata mentre lui gridava e dalla
grotta echi uscivano privi di intervalli, sovrapposti fra loro. Ho avuto la mia resurrezione, la mia
libertà, rifiutando le cure, le medicine. Appassendo come un fiore ho
rinunciato a un Dio cattivo perché noioso.
Ora, prima che il telefono
si rompa ti lascio una poesia.
Quando leggo ciò che scrivi credo di riuscire sempre ad immaginarti nell'atto di "stesura", seduto alla scrivania o steso orizzontale nel letto con le gambe che non riescono a starci dentro. Gli occhi affaticati, i tic nervosi, le brevi pause tra lo spegnere una sigaretta ed accenderne un'altra e qualche parolaccia, sicuramente.
RispondiEliminaE ogni volta è sempre un'emozione nuova.
Forse non sono adatto a leggere quello che scrivi.
RispondiEliminaNon posso fare a meno di chiedermi cosa intendevi, cosa ho capito, cosa ho male interpretato, cosa importa, e così via. Il video ha riesumato un vecchio ricordo - epifania!- che, ancora deboluccio ed impolverato, ha fatto risuonare ciò che avevo appena letto, restituendogli un senso nuovo che non aveva avuto alla prima lettura - potere della multimedialità - che non potrà avere per nessun altro, autore incluso.
Improvvisamente ho smesso di cercare i tuoi motivi (perché lo avrà scritto? perché in questo modo?); non comprendo fino in fondo ciò che scrive, ma mi piace leggerlo, magari non c'è nulla di male.
P.S.
Commento rotore: inizia a leggere dal periodo cercando l'insieme che ti aggrada di più.
Inzio a leggere da un periodo preciso: quando scrissi un post in cui litigavo mentalmente sulla scelta di quale prodotto acquistare al supermercato. Mi rispondesti: "Una scatola val l'altra, non ci pensare troppo: il mondo vuole solo che tu compri, non gli interessa mica cosa!".
EliminaEcco perché tu sei adatto a leggere quanto scrivo e forse non ti adatti al mondo.
Perché sei l'esatto contrario della risposta che hai dato. Le domande seminano nuove domande. Ma quando domandi ti domandi e quando ti perdi: seminano l'insicurezza, l'ignoto, l'incerto. Ma non temere: può diventare una forza. Un abbraccio.