I miei arnesi urlano
estremi desideri, ci credi? Entrano a piedi pari sul malleolo e ballano con rum,
finestre e vicoli con luna fra i ponti.
I nostri sospiri sospesi sono fra silenzi coesi. Eravamo metronomo
e bilancia. Io pendevo dalle lunghe gambe nei deserti affollati.
Chi è senza tatto? Torno bambino a pranzo, oggi aquiloni al miele, i
miei fratelli han violentato le pene, i tuoi cori sterili, poco fascisti, io e
i giacobini alla porta la violentammo, lei ancora sconvolta, sette lingue e
help from god, help from god.
Gli alieni vaccinati, i tuoi spiriti alla stazione, il mio ponte
raffreddato. Ti amo, ma non lo ammetto e fingo un tuono e mi cuccio sotto il
letto, ladro di un profondo senso.
Le luci con in braccio grattacieli di oceani, gira il rap al piano
cantautorato da me, stonato e imputato per diritto.
La morte nel tè, la morte in te, la morte nei se, la morte in sé.
Govoni insegna: ogni giorno lo specchio ispira al suicidio, ma poi
taglio le vene, ma poi è solo barba. Un fuori luogo da crocifiggere.
Ti lascio una falce sola, senza martello. Senza figli né custodi.