Era una piovosa notte di marzo. Il cielo a singhiozzo
emetteva scariche con secchi d’acqua sulla strada. Il ritorno a casa era
liscio, slittante. Le buche del raccordo autostradale erano visibili solo in
prossimità immediata. I vetri appannati lasciavano l’imprevedibilità di quel
percorso fatto tante volte in passato. Le strisce bianche solcavano il tragitto
ormai giunto a metà. All’entrata in galleria sai che sei a metà strada, che
puoi lasciare le marce e procedere a folle fino in città sfruttando la discesa.
Quando piove no. Alla fine della lunga galleria aveva smesso di piovere. I
finestrini potevano essere abbassati, la strada è riconoscibile più che
immaginabile. I fantasmi freddi della guerra accompagnavano l’uscita dal
tunnel, un cuore congelato in cartoccio volava dal freezer dopo una vita e si scioglieva sulla strada e i brividi,
e il sudore, si spalmavano fra l’asfalto terreno algido ceceno.
Era di proprietà mia personale medesima propria, un cuore
donato e disgelato fra i respiri e i pianti neonati in un violoncello in una
discarica, sfuggito al netturbino divorziato, raccolto dagli occhi intensi
formica, dalla lavandaia avvolta nei cimiteri di ruggine e topi urlanti.
Principessa di discariche interiori e madre noiosa sfatta dalla cimice
infiltrata nelle viscere, si decompose anche lei negra col cuoregelo che l’avrebbe
salvata. Una farfalla di latta vide tutto e si immerse nelle acque sotterranee,
nel beep del morse, nel tic della lancetta, nel toc della porta, nel tuc dei
fumetti, nella tac della figlia, nel cuore disgelato, disperso sull’autostrada
fiume panta rei con le cicche erranti e le lattine ristoro schiacciate. Un
groviglio sfilato fu l’intreccio nuovo, il mostro partorito dalle venature blu
delle sue gambe schive, mai lascive, come chiese a mezzanotte.
New born. Un bruco scarafaggio disattento e malvagio, buffo
e tenebroso, folle fra le folle, lucido fra i lucidi, stempiato fra le lune e
ricco sotto il sole. Due giorni prima morì, rinacque nuovo ancora col cuore dal freezer, nudo al
centro di un monte di rifiuti in una tensione celeste, fra i fumi obliqui sipario indiscreto, in un lampo elettrico
anticlericale, guarda l’infinito, ha ancora due giorni per innamorarsi prima di
morire, non parla quando è in missione, bacia le sillabe interiori altre. Il
tempo di morire.
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