Formiche, siete ovunque. Siete milioni a edificare le vostre
grandi opere nella mia stanza. Se almeno pagasse l’affitto. Sapete, i tempi non
sono dei migliori per le tasche dei contribuenti. A proposito ho trovato dei vostri parenti
anche lì; dicevano di essere i cugini maggiori, stavano lì, nelle scarpe, anche se non credo
abbiano resistito allo smog dei miei piedi.
In ogni istante, siete con me. Mangiamo insieme, o
meglio, come un divorzio clandestino, rubate gli alimenti di continuo. Sono cosciente di essere la vostra sopravvivenza.
Mi seguite
fino al bagno e spesso cadete nel lavandino, su questo volevo dirvi che non c’entro
niente, anche se vorrei.
Quando dormo marciate lungo la collina che è la pancia
mia, ma forse è pura immaginazione, insomma producete suggestioni; è come se percorresse
lunghi cammini ogni notte per fare capolinea nei sogni miei.
Quando c’era lei, però, eravate confuse, altro che una
grande squadra operaia, mie piccole guardone certo sembravate cicale mica pezzettini neri dal capo chino. Vi ho visto appostate sugli spalti della libreria. Ho visto anche
che provavate goffe a imitarci: la vostra invidia glorifica l’essere umano e il suo
sudore.
Ora che lei non c’è, siete di nuovo organizzate a passo
militare e con rigore sovietico pronte a rovinare la pace mia, in fondo, avete
ragione, è un ambiente più adatto a voi che a me.
Con lo sguardo ispeziono la stanza.
Guarda cosa hai lasciato in
giro, sciafarazzo di provincia che
non sei altro: cicche sul letto, lenzuola sporche, il cuscino giallo, libri e
giornali in terra fra croste di pizza e i cartoni del corriere, lo spazzolino
più adatto al water che ai tuoi denti, lo shampoo colato sopra il riso della
settimana scorsa.
Mi sento ospite, ma quanto è intorno alla stanza, l’ho
costruito io.
C’è di tutto, ci siete voi e i miei disordini, manca solo lei. L’ho
accompagnata lontano e una volta andata via, dopo di che mi sono diretto al supermercato
per acquistare l’insetticida. Ho scelto il più costoso, perché letale, ma
soprattutto spietato.
Lungo il ritorno, mentre percorrevo la grande collina, ero
così piccolo, vestito di nero in conflitto col sole, come voi pensavo di venire schiacciato da un momento all’altro.
Credetemi, avrei voluto uccidervi,
ma poi ho capito che non mi importa. E quindi, care amiche di un’estate, sapete
che vi dico? Avete vinto. Bandiera bianca per me. Tenetevi pure la stanza, io
non torno più.