martedì 22 marzo 2011

Morte breve

Le lampade di cloroformio assopiscono le fiamme dell'arbusto, una serpe a sei piedi si aggancia all'agnello, con la coda nelle reni la sodomizza fra le bestemmie, la sua bocca sputa fuoco tosando il pelo del pastorello. Nella Sardegna è normale ma negli inferi vi è una metamorfosi, un uomo con una belva entrano in scena, cooperano violenti, non sono ancora uno ma nemmeno più due. L'immagine disastrata del ventre perforato dagli aguzzi denti del delfino rabbrividiscono i tuoi occhi. Lettore che ti inebri dei versi infantili, oggi mi accingo a dirti che un'evoluzione c'è per tutti e la mia è bassa e fraudolenta, ti riguarda, te lo scrivo dal proscenico degli inferi, dalle malefatte degli uomini che qui si fan bestie. I versi del Demonio, te li incido sul viso, come graffi su una lavagna le tue orecchie desisteranno e morranno con te. Con me la tua vita s'annulla, l'inquieto avanza e s'arrampica fra le debolezze di cui ti doti. Con me la sirena sarà tarda, la sua frenata non potrai sentire perché ciò che ti aspetta è una morte infatua e sommessa, nessuna riga su un giornale, neppure sul necrologio, ti aspetta una bara con le mie iniziali. Perché prima di me non vi è nulla e nessuno.

martedì 15 marzo 2011

Lei, l'abaco e le molecole

Con lo sfoco fra gli occhi leggo queste tristi righe di un poeta morto in Occidente. Sono quelle di un fischio bramato per il tempo breve che una vita condiscende. Sarà senz'altro qualunque gioco di orologio, ma si è consci che l'oro è'orologio ossia il tempo è denaro. Il tuo leggere è una lacrima d'intelletto compromesso, avrei potuto il mondo nella sua specificità, avrei potuto imitare i baffi in gesti e invece son qua alle quattro del mattino l'angoscia e un pò di vino. Non sono un illuso ma ho le mie vertebre salde a respirare di ragione, ho i miei amici prosperi e docili, fatti come me se non meglio in inganni e pie condizioni. Ho i miliardi fra le gambe, il fulcro della terra, le auto scintillanti pronte a sporcarsi di fango magrebino. Chi mi darà da respirare un inutile cocktail da quattro soldi, chi mi restituirà la tristezza fra le mani, dipende da lei. Sono il dio del mondo ma con lei sono suo umile servitore, è la mia esistenza, proietto me in lei, in loro, dimentico le fusioni molecolari che condizionano la molteplicità. La guerra del potere è loro, la paura è tutta mia e per tutt'altro. Sbaglio molto e le tonsille annaspano nel gonfiore, le chiedo scusa una volta in più del dovuto e la consolo, la cosa peggiore al mondo, dopo mille volte,  mi rendo conto di aver sbagliato, chiedo ancora scusa. Ha ragione, come sempre e sono fiero di avere torto, perchè cresco, son triste perchè deve crescermi, le chiedo scusa, solo perchè mi ama. Cosa sto? E' questo sentirsi vivo? Con chi parlo? Non mi leggo neppure quando scrivo perdo il segno come un morto al delirio son poeta e lo so, non provo però, lascio le lettere agli innocenti e il mondo ai perdenti.

venerdì 4 marzo 2011

Quiete a fette

Era la noia, fuggivo da lei notte e giorno, non sapevo la meta ma solo la fuga. Una fuga in ciak dalle foreste di clacson e semafori rotti, dalle cerniere spente e orchestre di motori. In cerca di sudamericane aranciate, di liquori atrofizzanti, di calci nelle costole e verbi andati a male. Affogavo tutto nel banale bar fatto di costellazioni precise, agli angoli gli ubriachi in pensione mentre nel pieno dell'arena i giovani cinguettanti degni della provincia anni ottanta, retrograda di trenta. Dico ciao e non mi alzo, me ne vado ma resto lì, seguo corsi di dattilografia ma spremo le fragole con la fronte per mestiere. Succhi gastrici eruttano silenti nel water, c'è anche un nido di luci e gocce. Ogni fiume di parole che esce da un'edicola, da una casa, da una scuola, sono parole perse e sprecate, usate a breve termine, presuntuose di essere portanti per l'esistenza umana, il pane serve, l'acqua per diversi motivi ma talvolta le parole possono riposarsi. Si scagliano le donnine in cerca di un gringo, di un hermanito da sfoltire, son larghe e assetate bussano alla Libia, tre volte impone il codice segreto. Baciamo le zampe alle bestie, noi in giacca con la cravatta a strozzarci, loro nelle tende d'oro. Non voltarti, non ascoltarli, le privazioni aprono un mondo e più che scappare dalla noia si cerca una curiosa quiete, a fette, in polvere, condensata in mille gas da inalare con la collettività. Voglio una città dove ad ora di cena non volino piatti dalle finestre con parole aggrappate ai paracadute, c'è sempre qualche passante a raccoglierle e pronto a riciclarle con altri malefattori. Mai spandere il verbo, mai mercificare la parola. Non pagherò più una bolletta se ho il prurito.Stupida S.I.P.

mercoledì 2 marzo 2011

La spesa e il resto mancato.

Scrivo e ne ho bisogno più  del respiro, ossigeno depurato in caramelle alla gola. Delle donne dai vestiti strambi, delle calze a rete, del miele delle api e dell'oro dei pirati.


 Entrai in una profumeria in cerca di un balsamo, la luce sembrava quella di una soap opera, forse meno volgare, di sicuro forte e artificiosa. Mi accolse una commessa a metà fra una nevrosi coprofoba e una dolcezza estetica. Aveva occhialini precisi e li appuntava come se avesse un tic. Era una donna di mezza età ma si curava molto, non nascondendo le sue rughe, equilibrata anche nel trucco, leggero e a modo sulle guance ed a contornare gli occhi. Le chiesi il balsamo e lei lo prese con tranquillità, il suo passo era lento e coordinato, ritmico e lievemente piacente. Chiese se mi occorreva altro, era piccola mentre parlava, quasi si miniaturizzava ad ogni parola detta. Era imbarazzata, quasi a disagio nel suo stesso locale, le dissi di non preoccuparsi che avevo tutto e salutai.
Entrai poi al supermercato, urgevano le uova, 6 uova corrispondono a 3 pranzi abbondanti. Una signora col bastone faceva la verticale a rilento, mentre la cassiera con un retino raccoglieva migliaia di 1,2,5 centesimi in picchiata dalle tasche della vecchia. Un uomo provava a leggere una scritta, era molto grande, chiese il mio aiuto, gli cadde la dentiera e lo ammetto, gliela rubai. Era troppo forte la tentazione. Il salumiere tagliava con virilità i salumi, utilizzava il coltello, era un duro altro che affettatrice. Le over 50 di età e di taglia lo guardavano estasiate, come il bulletto fuori scuola, quello definito solitamente zotico dal tempo, lo ammiravano e come ai concerti gli lanciavano indumenti intimi. Qualcuna imbrogliò lanciando il tanga della nipote. Lo zotico abboccò. Presi le uova, la seconda marca meno economica, la più economica è finita, esistono scaffali vuoti con prezzi stracciati, la crisi ci indigna meno. Alla cassa ovviamente pagavo una cifra che terminava con nove centesimi. Il cassiere non aveva il resto ma il retino era saldo fra le mani. Gli chiesi il centesimo di resto dicendo che portava fortuna, se invece l'avesse conservato lui io sarei diventato sfortunato. Questo mi rispose ovviamente che se il centesimo avesse funzionato non sarebbe stato ad un supermercato ma altrove. Pensai dove. Non gli diedi torto, non mi diede il centesimo. Non sorrisi molto, non mi diede il resto.